Roberto Zappalà musica originale (dal vivo) Puccio Castrogiovanni danzatori Adriano Coletta, Alain El Sakhawi, Gaetano Montecasino, Adriano Popolo Rubbio, Roberto Provenzano, Fernando Roldan Ferrer, Antoine Roux-Briffaud ai marranzani (scacciapensieri) Puccio Castrogiovanni testi di Nello Calabrò luci e costumi Roberto Zappalà responsabile tecnico Sammy Torrisi management Maria Inguscio una coproduzione compagnia zappalà danza – Etnafest Arte – Scenario Pubblico – uva grapes contemporary dance festival 17 Febbraio 2016, Auditorium Parco della Musica, RomaINSTRUMENT 1 <scoprire l’invisibile> coreografie e regia
Sul palco della sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica di Roma si alternano, come ogni febbraio da dodici anni ormai, le più importanti compagnie di danza contemporanea del mondo. Una vetrina ricca e di qualità che solo la sensibilità e l’attenzione della Fondazione Musica per Roma è in grado di mettere in scena. Quest’anno con grande intuizione, si è rivolto uno sguardo a quelli che per il ministero sono diventati ufficialmente i tre centri di produzione in Italia: Aterballetto, Virgilio Sieni e Compagnia Zappalà Danza. Finalmente dopo tanto indagare in giro per il mondo, dopo tante illustri proposte internazionali, si è fatto un passo indietro per scrutare e ammirare le eccellenze che offre la nostra penisola.
Questo preambolo è più che mai dovuto in questa sede, perché la Compagnia Zappalà Danza, che è indiscutibilmente la realtà più interessante del panorama della danza italiana, che è orgoglio e portabandiera della contemporaneità made in Italy nel mondo, mancava dalla Capitale da dieci anni. Una pecca inaccettabile che per fortuna è stata colmata dalla lungimiranza degli organizzatori del Festival Equilibrio.
Instrument 1 < scoprire l’invisibile > è uno degli spettacoli della compagnia che più ha girato il mondo, prima tappa del progetto Instruments con cui Roberto Zappalà, coreografo, direttore e fondatore del centro catanese, ha indagato gli strumenti musicali inusuali e difficilmente utilizzati in maniera solistica. In questo lavoro la musica e le atmosfere sono affidate ad un tipico strumento musicale siciliano che si associa alla tradizione e alla mafia: il marranzano o più comunemente detto scacciapensieri. Un strumento e un suono che riporta subito con la mente alla terra siciliana, quasi un cliché di tradizioni e luoghi comuni che vengono indagati anche in danza, nel movimento, attraverso lo “strumento corpo” di sette danzatori uomini.
L’impatto scenico, infatti, è pregnante di connotazioni tipicamente siciliane. All’interno di una sala Petrassi annebbiata da un fumo densissimo, bagnata da fievoli controluce tendenti al viola – colore simbolo della morte e della chiesa – sette figure, sette vedove vestite di nero con il volto coperto da un velo in pizzo e delle scarpe col tacco, si muovono goffamente e piangono i loro cari. I movimenti pesanti e netti accompagnati da voci strazianti si spostano all’interno di questo contenitore di teli bianchi ricamati, come degli stormi di uccelli, dal quale ogni tanto qualcuno si allontana. E’ una scena che rimanda ad un sud bigotto e provinciale, in cui la religione è privazione e morte, farcita di gesti tipici e ridondanti.
Interrotta la lugubre atmosfera, con un artificio divertente e ammiccante, si entra nel pieno dell’indagine “strumentale”. Puccio Castrogiovanni, fantastico creatore della musica dal vivo, incomincia a tessere le sue melodie e i due strumenti protagonisti, corpo e marranzano, si trovano con una precisione impeccabile che quasi si fa fatica a capire cosa segue cosa.
Una serie di cliché gestuali tipicamente siciliani vengono indagati dai performer, ma ciò che più di tutto stupisce è una qualità musicale e di movimento incredibile. I sette danzatori procedono per un’ora, nelle loro vesti color carne (che rimandano ad Emio Greco), ad incontrarsi e scontrarsi in perfetto accordo con la musica di Castrogiovanni appena visibile dietro uno dei pannelli del fondale. La danza si frammenta in unisoni, duetti o trii o nelle più disparate soluzioni matematiche, con un uso dello spazio mai banale, un atletismo mai fine a se stesso, o comunque fantasticamente godibile. Una precisione formale e un’energia esplosiva, mai leziosa. Una qualità di movimento incredibile e una fusione con la musica perfetta, tanto da risultare non solo un tripudio per gli occhi, ma anche per tutti gli altri sensi.
La danza portata allo stremo del finale e il marranzano con la sua ultima nota, lasciano un’energia che si propaga come una violenta onda di vibrazioni sul pubblico il quale non poteva che culminare con una sentita e fragorosa ovazione.
Si spera di non dover aspettare altri dieci anni per rivedere la compagnia sulla scena capitolina