Una vera e propria standing ovation lunga almeno cinque minuti accompagna i titoli di coda del documentario Fuoristrada di Elisa Amoruso, presentato in concorso il 15 Novembre nella sezione Prospettive Doc dell’ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma.
Fuoristrada, di E. Amoruso, Ita 2013, 60′
Prodotto da: Meproducodasolo in associazione con AFilms e TangramFilm
Sceneggiatura: Elisa Amoruso
Fotografia: Giorgio Horn
Montaggio: Chiara Griziotti
Scenografia: Roberta Iaci
Musica: Ratchev & Carratello
Suono: Fabio Fortunati
Interpreti: Beatrice Della Pelle, Marianna Dadiloveanu
«È stata davvero innervante». Con questo neologismo Beatrice, Pino per l’anagrafe, e Marianna “apostrofano”, dopo la fine della proiezione, la regista Elisa Amoruso e la sua estenuante volontà di portare sul grande schermo la loro storia che condensa, in sessanta minuti davvero ben congegnati a livello di montaggio, un lavoro di produzione lunghissimo e ben cento ore di girato.
«Pino è Girello, Beatrice è Girello», un meccanico e pilota di rally innamoratosi di Marianna, badante di sua madre. Il loro amore sembra andare ben oltre la sessualità, accennata soltanto dal fatto che Beatrice non ha alcuna voglia di operarsi perché «sta bene così». Il loro sentimento si costruisce sulla voglia di essere felici crescendo insieme Daniele – il figlio di Marianna, un ragazzone di sedici anni dai tratti assolutamente bonari – immersi tra i loro animali.
La macchina da presa penetra per tutta la durata del documentario nella «vita in diretta» dei due diventando spesso il terzo passeggero all’interno della loro jeep, accompagnandoli dal veterinario della loro amata Kira o più semplicemente seguendoli nelle loro faccende quotidiane, intervallate da spunti a volte ironici, a volte drammatici – come quando la voice over di Katiusha, figlia di Pino di cui non c’era stato alcun accenno prima, racconta il suo rapporto complicato con il padre, e il successivo racconto di Beatrice e della sua relazione (in)esistente con la figlia. Le riflessioni sul tema della transessualità sono lasciate volutamente a margine, ricondotte alle sensazioni di Pino, alla convinzione secondo la quale nel suo corpo vi siano molti cromosomi femminili a causa della volontà della madre di avere una figlia. Sul lato del giudizio della “comunità”, invece, gli unici riferimenti sono quelli delle “prese in giro” che Daniele subisce a scuola.
Di fronte agli spettatori la regista dichiara che la sua volontà non era né quella di raccontare la storia del passaggio da uomo a donna di Pino – chiaramente presupposta – né quella di mostrare i problemi d’integrazione che affliggono l’Italia bigotta. Il suo intento era semplicemente quello di narrare «attraverso uno sviluppo in capitoli che tenesse conto di una struttura drammaturgica rigorosa, una storia d’amore». Il vero merito del documentario sta, infatti, proprio nella capacità di cogliere delle semplicissime schegge di vita.
L’intentio auctoris è pienamente perseguita in Fuoristrada con un risultato davvero eccellente sia sul lato registico sia su quello emotivo dello spettatore, che non può non rendersi conto della qualità del lavoro grazie anche ad alcuni passaggi commoventi e mai alla ricerca di un riscontro pietistico.
Fuoristrada come si è ben capito non è la perdita della retta via, ma il percorrere un sentiero in grado di far assaporare al meglio la genuinità del vivere. «L’uomo – come dice Beatrice/Pino – non fa il monaco». Amen.