articolo scritto in collaborazione con Mauro Ferrante
Alla presenza del regista Spike Jonze e della maggior parte del cast, comprese le star Scarlett Johansson e Joaquin Phoenix, si è svolta nella sala Santa Cecilia dell’Auditorium di Roma la proiezione di Her.
Her, di S. Jonze, USA 2013, 120′
Soggetto e Sceneggiatura: Spike Jonze
Produttori: Vincent Landay, Megan Ellison
Casa di Produzione: Annapurna Pictures
Fotografia: Hoyte Van Hoytema
Interpreti: Joaquin Phoenix, Scarlett Johansson, Amy Adams, Rooney Mara, Chris Pratt, Sam Jaeger
Spike Jonze si scrolla di dosso l’ingombrante fantasma di Charlie Kaufmann e finalmente, conscio dei suoi limiti, firma il suo film più maturo. Her potrebbe definirsi come una valida metafora postmoderna delle relazioni umane nella loro estensione sensoriale aumentata all’interno di un mondo ipertecnologico e totalmente immersivo.
In una Los Angeles dove l’unico contatto possibile è quello fittizio tra uomo e software, sia esso un videogioco o un’intelligenza artificiale, Theodore, scrittore di lettere per conto terzi, durante la sua causa di divorzio, sente il bisogno di un’empatizzazione reale. La troverà in Samantha, ultimissimo OS (operating system) dotata, ben oltre le capacità per cui è programmata, di una auto-coscienza umana troppo umana.
L’anestetizzazione solipsistica del sentire umano privo di emozioni di cui Theodore è portavoce durante Her, viene rovesciata da Jonze attraverso la consapevolezza emozionale di Samantha e della sua personalità virtuale. A differenza di Hal 9000 di A space an odissey, di cui è versione aggiornata e positiva, Samantha capisce l’importanza del sentire umano e si indirizza verso uno spazio di condivisione – virtuale – che sembrava esser prerogativa soltanto dell’uomo. Se è una macchina a capire l’importanza del sentire altrui, mediante una messa in scena davvero valida del cloud sharing, allora all’essere umano non resta che mettersi nuovamente in gioco recuperando e riattivando quello spazio esperienziale completamente dimenticato a cui l’OS giunge autonomamente per la prima volta.
La relazione “perfetta” tra Theodore e Samantha, uomo e macchina, reale e virtuale, diverge nella diversa concezione dell’amore, l’uno monogamo e legato al vincolo possessivo della relazione, l’altro espanso come community, e nella loro differente struttura cognitiva: quella umana (dis)-ancorata all’esperienza emozionale e alla sua espressione, mentre quella artificiale votata alla massimizzazione delle competenze.
Il regista lascia che questi temi affiorino senza indagarli ulteriormente e, lasciandoli in un corposo contesto sicuramente azzeccato, si focalizza su una classica e romantica storia dal tatto quasi gondryano. Tra la carne e il silicio, l’amore ai tempi dello sharing.
2 commenti
descrizione sublime! Hai commistionato tutte insieme le nmila riflessioni che mi sono balenate mentre guardavo il film….
Gentilissima Elisaf,
la ringraziamo per il complimento. Parlo al plurale perché, come avrà notato dal sommario, l’articolo è stato scritto a quattro mani insieme a Mauro Ferrante. Ognuno ha portato all’interno dell’articolo la sua interpretazione, sicuramente diversa ma, visto il suo giudizio, ben amalgamata.
Ringraziandola ancora la invitiamo a seguirci qui sul nostro sito e sulla nostra pagina facebook sempre aggiornata con gli ultimissimi articoli: https://www.facebook.com/PensieriDiCartapesta
Cordialmente
Lorenzo Cascelli