L’attività del tradurre e le traduzioni sono i concetti indagati da Maria Teresa Costa nel volume Filosofie della traduzione, pubblicato da Mimesis. Seguendo un percorso che va da Walter Benjamin al pensiero post-coloniale di Homi K. Bhabha, si cerca di metterne a fuoco gli aspetti sostanziali, sempre più rilevanti nelle interazioni umane.
Titolo: Filosofie della traduzione
Autore: Maria Teresa Costa
Editore: Mimesis Edizioni
Anno I ed.: 2012
Le lingue diverse dalla propria possono essere viste come ostacoli insormontabili. Nella maggior parte dei casi, solo nella propria lingua ci si sente a proprio agio e solo questa risulta immediatamente comprensibile. Naturalmente, nella loro storia, gli esseri umani non hanno mai limitato se stessi e i loro rapporti fermandosi a quello che meglio conoscono. Da sempre si assiste a interazioni fra Uomini che non parlano la stessa lingua; da sempre, in quest’ottica, il tradurre e le traduzioni rivestono in esse un ruolo fondamentale.
La traduzione, dunque, non è un’azione a sé stante, isolata. Essa implica, piuttosto, qualità relazionali e un’interdisciplinarità che la rendono un elemento necessario alla trama dei rapporti intessuti attraverso lingue diverse. Questa relazionalità e i legami che si creano con altri aspetti della cultura umana fanno sì che, seguendo anche quanto sostenuto da Walter Benjamin, si rifiuti un concetto di traduzione come «mera equazione» tra due testi o, peggio, tra due lingue. La traduzione dovrebbe essere intesa piuttosto come un «potenziamento», un gesto capace di aprire «la lingua traducente a un avvenire di possibilità insospettate».
Allontanandosi dall’immagine dell’equivalenza tra testi e tra lingue, ci si pone in una prospettiva che vede nella traduzione la possibilità di ospitare lo straniero e di farlo sentire a casa propria, per quanto possibile, in un’altra lingua, poiché «le lingue non sono tra loro altro che “dialetti”, frammenti di una lingua più grande».
Dalla lettura della traduzione come ospitalità derivano due ulteriori aspetti, che possono contribuire a darle un senso e un’importanza nuovi. Ogni lingua si presenta come un luogo, una dimora capace di accogliere sia i suoi abitanti originari sia l’Altro, al quale, una volta accolto, si rende possibile affrontare confini valicabili e non più insuperabili barriere linguistiche.
Ecco che la traduzione acquista, e lo fa esemplarmente nella lettura di Paul Ricoeur, un aspetto etico, poiché assolve il compito di mutare l’ostilità in ospitalità: è solo tramite un percorso di riconoscimento dell’Altro che questo passaggio da contrapposizione ad accoglienza potrà realizzarsi.
Questa concezione del tradurre, risalente al suo rapporto col comprendere evidenziato già da Schleiermacher, rischia però di condurre a una concezione arbitrariamente gerarchica delle culture e delle lingue, in quanto ci saranno lingue ritenute adatte ad accogliere e altre solo a essere accolte. Il pensiero post-coloniale cerca di chiarire, in quest’ambito, tali rapporti di dominio, in modo che la traduzione avvenga, infine, sempre “tra” culture.
È infatti l’aspetto liminare della traduzione che maggiormente emerge dallo studio di Costa. La traduzione si situa su linee di confine, siano esse tra lingue o tra discipline, e da questi spazi, sottili ma importanti quanto le frontiere geografiche, dovrà muovere ogni riflessione mirante alla comprensione delle relazioni umane nella contemporaneità.