Dal tredici al sedici giugno 2013, sulla terrazza del centro culturale Elsa Morante, la compagnia Rumelaj ha messo in scena L’Onomastico di Irina, uno spettacolo con apericena ispirato al primo atto del dramma Čechoviano Le tre sorelle.
L’onomastico di Irina
Ideato e diretto da Flavio Albanese
Interpreti: Daniele Corsetti, Roberta Guccione, Vincenzo Lesci, Tommaso Leti Messina, Alessandra Martino, Raffaella Paleari.
Collaborazione artistica: Valentina D’Andrea
Dal 13 al 16 giugno 2013 – Centro Elsa Morante, Roma
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Dicono dei russi che, per tradizione, festeggino l’onomastico e non il compleanno, come invece facciamo noi, al fine di ricevere nuova protezione dal santo omonimo. A questa ricorrenza viene invitato l’intero vicinato, e si beve fino all’ebbrezza; una calma apparente, tutta provinciale, quella in cui Čechov accende la miccia del suo dramma, Le tre sorelle, a cui l’happening si ispira. Perché all’avvinazzato sfuggono segreti, si sgretola la maschera e per il sudore cola il trucco. Una ventata di sincerità divora gli invitati sotto gli occhi dello spettatore partecipante, trascinato nel vortice delle danze e degli avvenimenti da quegli stessi prigionieri di pose vanitose e illusorie. Il loro mancato afferrare non tanto il senso della propria esistenza, quanto la sua conduzione, ci rivolge il dito contro e tenta di portarci con sé.
L’onomastico di Irina è un happening e uno spettacolo di spettri, che la compagnia Rumelaj resuscita in un tempo strappato, oscillante tra il presente di questi critici anni ’10 e la Russia di fine impero. L’evento teatrale trasforma la situazione, una vaga sera di fine primavera, con l’estate nell’aria afosa e un insistente svolazzo di zanzare, in occasione di scoperta. Un filo chiamato amore ci congiunge ai personaggi evidenziandone le personalità; dalla primaverile infatuazione, alla testardaggine di conquistatrice, dall’appagamento sessuale, all’abitudine della vita coniugale. Poi come spesso accade, da un’amore inespresso, certe volte maldestramente concluso, esplode tutta un’illusione che esonda sommergendo ogni aspetto della vita. In questo modo l’unica speranza non può che essere riposta nel domani, in quel futuro migliore abusato da ogni campagna elettorale. Qualche giorno per noi, magari un mese, cent’anni ancora per tutta l’umanità, nell’assenza di quella lucidità che svela la fastidiosa mania di rimandare.
Passato e presente, invece, rimbalzano; il primo è divertimento, contatto, cibo, vino e calore, il secondo invece ricordo, rimpianto e morte. Nel suo oscuro reame solamente Irina è capace di improvvisi risvegli, pieni di desiderio e purezza. Gli altri spettri giocano a imporle silenzio e a riportarla all’ordine, martellando quella speranza con il loro soffocante carico di lamenti e scuse, per occasioni mancate e amori irrisolvibili. Ol’ga e Maša, fuori dal tempo e dallo spazio, riescono ancora a trovare la loro rivoluzione, un afflato clownesco per la prima, emancipazione dal coniuge per la seconda. Gli uomini invece, di fronte a tanta umanità, appaiono sfuocati, imprigionati in loro stessi, in pose nichiliste vuote perché piene di parole. Per tutti il futuro è a Mosca, e se non è la grande città e qualcos’altro o qualcun’altra, costantemente.
Nel presente invece si mangia e si beve e il tempo si riallaccia nell’ebrezza della compagnia, del contatto fisico e della danza purificatrice. Che sia Strauss o i Beach Boys poco importa, quel calore umano sprigionato dai personaggi, noi e loro, unisce ogni presente, perché l’essere umano, quando ne si percepisce la vita nella sua tridimensionalità, è vivo sempre e in qualunque epoca. È un ponte sul quale ci si possono scambiare idee, ci si può scoprire e lasciarsi stupire, tutto nella magia della narrazione, del film, del teatro e di ogni altra forma d’arte. Se al contrario si è preoccupati del futuro o ci si rammarica di quel che è andato storto, non si può essere presenti agli avvenimenti della nostra vita. La nostra attenzione è rapita, la nostra energia svanisce. A teatro siamo andati solo a perdere altro tempo.