The Congress di Ari Folman, USA/FRA/ISR 2013, 123′ Produzione Bridgit Folman Film Gang, Pandora Film, Opus Film, ARP Selection, Entre Chien et Loup, Paul Thiltges Distribution Distribuzione Wider Films In uscita nelle sale il 12 giugno
Ari Folman aveva già ampiamente dimostrato al mondo la sua inventiva grazie a Valzer con Bashir: un uso anticonvenzionale dell’animazione che non si racchiudeva solo nei suoi mondi di fantasia ma che lasciava, soprattutto nella parte finale, irrompere il reale con il suo fortissimo impatto testimoniale e immaginifico. Con The Congress il regista israeliano ci riprova, tornando a mischiare insieme i due piani – quello animato e quello del live-action – ispirandosi liberamente al Congresso di Futorologia di Stanislaw Lem. Il risultato è un riuscito mix dove Robin Wright, che interpreta se stessa, si ritrova alle prese con una carriera attoriale ormai agli sgoccioli. Accetta allora di farsi “scansionare” così da permettere alla Miramount Pictures di usare la sua immagine digitale in qualsiasi film. Un contratto ventennale che rappresenta solo l’inizio di una lunga e distopica separazione della realtà in favore di una solipsistica esistenza che riguarderà tutto il genere umano.
Si dice che di fantascienza buona come quella russa non se ne faccia più. Folman è pronto a dimostrare il contrario. Lo fa con una sceneggiatura a tratti criptica, capace di svincolarsi di colpo da quello che sembra il suo tema principale – la sostituzione virtuale dell’attore nel cinema – allargando il punto di vista a tutti gli umani quando, grazie ad una particolare droga, ognuno può ritrovarsi in un mondo immaginario autoindotto. Realtà che su schermo assume le tinte di uno stile animato tipicamente anni ’30. Magnifico e onirico, The Congress si muove tra repentini cambi di tono decisamente drastici all’insegna di un trip visivo che nell’animazione occidentale non ha eguali. Un’esperienza lisergica da cui si esce dal cinema frastornati e alienati. Un continuo viaggio psichedelico in una dimensione estraniante in cui l’amore di una madre per il figlio nasconde, nel finale, un toccante e umano rovesciamento di ogni speranza di rivalsa della realtà in un’amarissima vittoria dell’auto-isolamento.
Folman rielabora a suo modo il romanzo dello scrittore russo fornendo una visione totalizzante dell’immaginario umano in ogni sua forma. Forse gli spunti sono troppi e non approfonditi a dovere. Questo difetto tuttavia scompare grazie ad un impianto visivo sontuoso in grado di sorreggere temi e contenuti che sembravano ormai troppo vintage per il genere. I fan di fantascienza “russa”, ma non solo loro, sono caldamente invitati al congresso futurista di Folman: se il risultato non è assicurato, il viaggio è di quelli capaci di scuotere violentemente le fondamenta della pura visione cinematografica.