Francesco Colombo | La fanciulla con la cesta di frutta

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la-ragazza
 
un’idea di Marco Celli e Francesco Colombo
testo e regia di Francesco Colombo
con Grazia Capraro, Marco Celli, Adalgisa Manfrida, Michele Ragno
 
6 dicembre 2015, Teatro Sala Uno, Roma

 

In un periodo in cui i siti internet sono letteralmente invasi da contenuti artistici modificati e resi materia comprensibile e condivisibile dalla cultura contemporanea, raggiungendo spesso risultati divertenti – mi riferisco all’esempio del blog Se i quadri potessero parlare ideato da Stefano Guerrera –, il lavoro presentato al Teatro Sala Uno da giovani allievi dell’Accademia Nazionale Silvio d’Amico nel weekend del 4-6 dicembre, può essere coerentemente inserito in questo contesto in modo del tutto ironico. La fanciulla con la cesta di frutta è un lavoro bizzarro e divertente che, nella sua dissonanza con il panorama artistico di stampo drammaturgico attuale, spicca per irriverenza. Un gioco teatrale che sfrutta l’ironia per porre domande che forse uno spettatore non si è mai fatto: cosa succederebbe se un quadro potesse prendere vita? Se potesse parlare, se potesse muoversi? Cosa direbbe? Come agirebbe? Che rapporto esiste tra il modello ed il pittore?

Il pubblico entrando in sala si trova davanti al famoso quadro di Caravaggio Il fanciullo con la cesta di frutta, e quindi già si trova in un contesto più museale che teatrale: Marco Celli, dietro una cornice e nella posa in cui il soggetto del quadro è stato fissato per l’eternità, interpreta questa figura e rompe improvvisamente il silenzio, iniziando dapprima un soliloquio lamentoso sulla propria condizione: è costretto all’eternità come semplice oggetto creato da una mente artista, o essendo lui stesso il soggetto di quell’arte, è in grado di diventare l’artista di se stesso? In sostanza: chi è l’opera? Chi è l’artista? Il soliloquio è rotto da un surreale dialogo che si stabilisce con gli altri quadri presenti nell’esposizione, con ciascuno che asseconda il proprio punto di vista personale, e non può mancare il contributo dello stesso Caravaggio che, intrappolato nella sua stessa opera, perseguita ed è perseguitato dal suo povero modello del fanciullo con il cesto di frutta. Dietro ogni quadro quindi sorge il profondo disagio di coloro che sono stati usati come modelli per rappresentare altro da loro stessi, resi immortali da quelle pennellate celebri, alcuni riconoscenti di questo dono, altri perseguitati invece da quello che vedono come una dannazione.

La domanda che il testo suggerisce, su cosa si possa definire opera e chi artista, è spontanea, soprattutto per dei ragazzi giovani che stanno ancora seguendo il percorso di formazione presso la loro accademia di recitazione, un campo artistico che forse più di tutti porta sempre a chiedersi cosa ci sia di originale nel proprio lavoro che a volte si muove all’interno di un testo già scritto, rappresentato più volte. Forse è proprio il termine recitazione a racchiudere in sé la domanda di chi sia l’artista: ri-citare piuttosto che giocare un testo, questa terminologia rende poca giustizia all’indipendenza dell’arte drammatica.

Un’ottima prova per un gruppo guidato da un giovane regista, Francesco Colombo, e che ci auguriamo non perda mai una verve così indipendente e giocosa, rischiando di entrare nell’atteggiamento molto comune del mondo della re-citazione italiana.

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Autore

Ludovica Avetrani

attrice, danzatrice, curiosa. caporedattrice delle sezioni di teatro e danza. odia le maiuscole.

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