con Franco Branciaroli, Valentina Violo, Tommaso Cardarelli, Daniele Madde, Stefano Moretti, Livio Remuzzi, Giovanni Battista Storti, Alfonso Veneroso
scene Margherita Palli
costumi Gianluca Sbicca
luci Gigi Saccomandi
foto Umberto Favretto
11 gennaio, Teatro Argentina, Roma
Al Teatro Argentina va in scena dal 10 al 22 gennaio Macbeth per la regia di Franco Branciaroli. La più celebre tragedia di Shakespeare – che meglio di qualsiasi altra parla della brama di potere e della follia sanguinaria – ci viene proposta in chiave tradizionale, con una regia piuttosto statica, ricca di costumi che rimandano all’epoca in questione, luci fredde che creano chiaroscuri fortemente contrastati e che rendono bene la tipica atmosfera cupa e mortifera della pièce
L’opera è recitata in italiano ma la scena si apre sulle streghe che ci sorprendono parlando in inglese. Andando avanti con lo svolgimento della tragedia si scoprirà che anche Lady Macbeth nei suoi momenti di sonnambulismo o di invocazione delle potenze della natura parlerà questa lingua; una scelta che fa dell’idioma originale il mezzo di contatto con le forze oscure e irrazionali dell’universo.
Macbeth, che ci appare più stanco che tormentato, parla nel suo delirio con una figura scura e incappucciata che si manifesta nei momenti più critici, così come riappare il fantasma insanguinato del tradito generale Banquo a minacciare la salute psichica e la credibilità dell’assetato di potere Macbeth.
In uno spettacolo dove tutto è rappresentato e poco è lasciato all’immaginazione, l’assenza di musica e la scenografia sobria – che si compone di quinte e scalinate nere con porte e botole dalle quali entrano ed escono i personaggi,- fanno della recitazione l’elemento cardine dello spettacolo. L’azione perlopiù – assumendo spesso i corpi posizioni statiche – si concentra nel solo testo recitato, che a sua volta però risulta essere compassato, impacchettato da toni già orecchiati che si frappongono alla resa della ricchezza e del dinamismo del testo shakespeariano. Effetto questo che si smorza negli attori più giovani che risultano più freschi e pronti a vivere il testo con più passione, ma che in qualche modo risentono dell’impostazione registica dello spettacolo.
Viene da pensare che – vista la regia con accenni di estetismi nei costumi e in alcuni inserimenti scenografici di buon gusto e senza elementi che osano letture del testo o scelte estetiche più ardite – questo sia uno spettacolo documento di un’epoca, un pezzo da museo. Probabilmente adatto alle scuole, ma che forse potrebbe sorprendere anche i ragazzi ad annoiarsi.