Lucifer, di G. van den Berghe, Bel/Mex 2014, 110′
Produzione: Minds Meet Testa Cruda
in co-produzione con: Películas Santa Clara/Rosa Galguera & Hilario Galguera/Mantarraya Producciones e Jaime Romandia
Distribuzione: NDM International Sales
Sicuramente di difficile interpretazione e giudizio il film di G. van den Berghe presentato nella sezione Cinema Oggi al Festival Internazionale del Film di Roma. Lucifer è una sorta d’indagine monoculare sulla vita di un paesino messicano sconvolto dall’avvento improvviso di uno straniero.
Incredibile pensarlo – perché mostrato attraverso una figura mistica e dai tratti paradossalmente francescani – ma quest’uomo altri non è che il diavolo. Il suo arrivo nel paese, che nonostante alcuni elementi contemporanei come l’elettricità sembra un villaggio medievale, sconvolge quasi irreparabilmente la calma quotidianità degli anziani residenti e in particolare di Lupita, anziana donna alle prese con il furbo fratello, il quale si finge incapace di deambulare, e la nipote Maria.
Diviso in tre atti – paradiso, peccato e miracolo –, Lucifer racconta un processo circolare di ritorno alla consuetudine. Da sottolineare che almeno il 95% del film è proiettato in tondoscope, formato circolare che nelle intenzioni del regista sembra voler metaforicamente indicare la possibile identità tra gli avvenimenti del villaggio e quelli dell’intero globo terrestre di cui noi siamo spettatori voyeuristici: la mdp fissa è un occhio esterno che spia volti e azioni dei protagonisti, coglie tutto della fisionomia degli abitanti e tuttavia non riesce a mostrarci quella miracolosa scala scesa dal cielo di cui gli stessi parlano, come se essa fosse, non fuoricampo ma aldilà delle possibilità della rappresentazione.
Dopo Post Tenebras Lux, questo è il secondo film ambientato in Messico che ha a che fare con la figura luciferina. Tuttavia, mentre nel film di C. Reygadas il diavolo non era altro che un meccanico silenzioso e invisibile all’occhio umano dormiente che nel suo residuo di alterità fluorescente è intento ad “aggiustare” l’esistenza umana, nell’opera di van den Berghe ci troviamo di fronte al completarsi di un processo d’immanenza che mostra un Lucifero intramondano impegnato a sconvolgere, tramite la sua apparizione/scomparsa, la vita terrestre. Il suo farsi umano sembra essere la dichiarazione visiva della volontà di riprendersi la propria ipseità in una sorta di eccesso egoistico e pura lussuria.
La sua natura ferina, esteriormente negata ma simboleggiata dal tentativo di seminare discordia attraverso una guarigione menzognera e un rapporto sessuale, si rivela fallimentare, così come la sua figurazione mistica che perde forza nella riscoperta della quiete persa.
A Lupita, vera e inconsapevole figura mistica, spetta il compito di navigare l’Acheronte con un traghettatore bambino: al villaggio è di nuovo festa. «La reale forma di Conoscenza è il non sapere nulla degli antichi…».