Al Lucca Film Festival, giunto oramai all’ottava edizione, è stato presentato il lungometraggio di Philippe Garrel, La frontière de l’aube. Alla proiezione era presente anche il regista.
La frontière de l’aube, 100′, Francia 2008
Regia: Philippe Garrel
Sceneggiatura: M. Cholodenko, A. Langmann
Fotografia: W. Lubtchansky
Montaggio: Y. Dedet
Musiche: J. Vannier
Interpreti: L. Garrel, L. Smet, C. Poidatz, V. Galard, O. Massart, E. Broche, J. Delègue
Il regista francese Philippe Garrel, nel suo intervento al Lucca Film Festival, ha dichiarato che, nell’epoca del passaggio dalla pellicola al digitale, egli si sente un po’ come i cineasti che dal muto al sonoro smisero di realizzare film. La sensazione di Garrel è esattamente la medesima, perciò egli ritiene che ben presto seguirà quella stessa volontà. Una dichiarazione forte, ma che fa trasparire l’idea che sia davvero in corso una rivoluzione nel cinema sia sul piano metodologico che su quello artistico. Garrel ritiene di appartenere oramai a una generazione legata a un sistema che non può più legarsi alla fase storica che stiamo vivendo e attraversando.
Il film presentato a Lucca è La frontière de l’aube. Come protagonista troviamo il figlio del regista, Louis Garrel, il quale interpreta un fotografo di nome François che, per motivi di lavoro, deve realizzare un servizio fotografico a un’attrice di nome Carole, incarnata da Laura Smet. Quest’ultima è sposata con un uomo che, per motivi di lavoro, è sempre lontano e non riesce a darle le giuste attenzioni. I due giovani s’innamorano; il loro è un sentimento tormentato soprattutto dalle incertezze di lei. All’improvviso il marito torna a casa e François si trova a scappare di nascosto. Le finte attenzioni che Carole riserva al consorte turbano talmente tanto François da spingerlo a non cercarla più. Tale fatto sconvolge così profondamente Carole da farla finire in manicomio; riuscirà in seguito ad uscirne, ma non guarirà mai del tutto… Nel frattempo François ha incontrato un’altra donna, Eve. Da lei sta per avere un figlio e i due pensano di sposarsi. Ad un tratto, nel subconscio del fotografo, ritorna Carole che sottoforma di visione appare nel riflesso dello specchio. Questo evento continuerà a materializzarsi a François ogni volta che egli si specchia e, conversando con Carole, egli verrà nuovamente catturato da quei sentimenti di passione e di follia che l’avevano fatto innamorare della ragazza…
Le qualità del film sono, in primis, la possibilità di ammirare una fotografia accuratamente studiata, con un bianco e nero in pellicola assolutamente straordinario, che ritrae la fragile natura di questa coppia su uno sfondo sociale definito. Originale è la presenza di elementi vintage inseriti in un’ambientazione contemporanea, come, ad esempio, la particolare macchina fotografica di lui o l’utilizzo dell’elettroshock nell’ospedale o il fatto che i protagonisti comunichino tra di loro attraverso lettere scritte a mano e non telefonandosi. Un altro elemento in grado di dare un tocco in più a questo lavoro, accentuandone il senso poetico, è la musica, composta da violoncello e pianoforte, la quale ben sintetizza i turbamenti esistenziali fonti di ispirazione per il regista parigino.
Alcuni dubbi possono sorgere sulla solidità della sceneggiatura del film. Si può apprezzare moltissimo l’idea di partenza, ritenendola coinvolgente e profonda, tuttavia i personaggi rischiano di essere vuoti.
Un film, dunque, che merita di essere studiato e da annoverare tra i più curiosi lavori di Philippe Garrel.