Georgia Lepore, SycamoreTCompany| Oltre i verdi campi

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di Nick Withby
traduzione Francesca Silveri e Georgia Lepore
regia Georgia Lepore
con Alessandro Avarone, Sonia Barbadoro, Alberto Basaluzzo, Michele Cesari, Federico Lima Roque, Gianluca Pantosti, Cristiano Priori, Marco Quaglia, Gabriele Sabatini, Mauro Santopietro, Antonio Serrano
aiuto regia Emanuele Liverani
scene e costumi Annalisa Milanese
trucco Lucia Pittalis
col patrocinio del British Council
produzione Sycamore TCompany

14 novembre 2014, Teatro dei Conciatori

Cosa accade durante una notte che è la vigilia di una battaglia, probabilmente fatale?

Di cosa sono fatti i silenzi di un gruppo di uomini multietnici che aspetta di sferrare l’attacco e che, sotto il vessillo inglese, guida un carro armato e con questo condivide il destino?
Il Teatro dei Conciatori di Roma ospita, in prima nazionale, Oltre i verdi campi di Nick Withby, in un’ottima traduzione di Francesca Silveri e Georgia Lepore, quest’ultima anche in veste di regista. Lo spettacolo approda in Italia per le commemorazioni nazionali del Centenario della Prima Guerra Mondiale. Otto uomini sono stati reclutati dalle numerose provincie dell’Impero Britannico: hanno morali ed ideali diversi, ma le loro abilità ingegneristiche e di guida dei mezzi pesanti rappresentano il futuro, e questo basta a renderli un impeccabile meccanismo, un organismo perfetto e impietoso che nella sua totalità è in grado di superare l’ostacolo della battaglia. Aspettano nella foresta il far del giorno, l’inizio dell’attacco. Il pubblico entra e calpesta foglie rosse: lo spazio ne è totalmente ricoperto, sul fondo ci sono alberi: è l’immagine di un accampamento silenzioso, dove regna il senso di attesa. Chiunque sia presente di fronte a quell’ immagine sa che diventerà testimone di qualcosa di irripetibile. L’aria che si respira è pregna dell’odore di foglie secche, non si è più dentro un teatro, ma in una radura e si osserva come delle creature silvane quello che sta per accadere.

Lo spettacolo non è ancora iniziato, ma già si percepisce un forte senso di concentrazione da parte dei soldati per il compito comune da svolgere di lì a poche ore. Ogni spettatore si focalizza su una figura come una macchina da presa e ne avverte l’esistenza. I pensieri di ognuno colorano, però, l’atmosfera di toni cupi: si diffonde nell’aria un presentimento sul prossimo futuro. Il dialogo comincia con poche battute: si fanno riferimenti alle mansioni di ciascuno, si parla del cibo che si è riusciti a racimolare, si rende noto che all’ accampamento stanno per arrivare un reporter, individuo meschino interessato solo a curiosare per riportare scomode verità, accompagnato da una prostituta che possa rendere piacevoli quelle poche ore prima dello scontro. Forse è la presenza di queste due figure a scatenare nel gruppo il bisogno di dare voce all’ apprensione che li attanaglia: per la prima volta dopo molte battaglie vissute fianco a fianco, si diffonde la sensazione che quella sarà l’ultima.

Con l’arrivo dei due “ospiti”, lo spazio subisce una trasformazione: viene ritagliata una piccola zona per la prostituta che con il trascorrere della notte diventa un’alcova e nido di protezione per il soldato che gode della sua compagnia. Questa figura accoglie le paure e le ascolta, pur non comprendendole poiché non conosce la lingua parlata dei militari. Il fatto che lei non capisca genera nell’equipaggio la possibilità di parlare, di liberarsi dal peso dei pensieri, generando sollievo nel potersi svestire della maschera di coraggio calzata per l’occasione e di farsi cullare da parole in una lingua incomprensibile. Il non essere capita a sua volta le permette di dare voce ai suoi ragionamenti sulla guerra, a come questa renda lo stato di necessità durante la catastrofe una virtù per cui sentirsi vivi, utili. Che la guerra porti ad un mondo migliore? E mentre si protraggono tenerezze dal sapore malinconico, sul terreno coperto di foglie, nella penombra rimangono sdraiati i soldati che riposano, che pregano e pensano accompagnati da piccoli gesti ripetuti, come se fossero riti di estraniamento ma di profonda connessione con la realtà che vivono.

I passi felpati producono soffici rumori fra la boscaglia e queste zone di silenzio assopito sono il preludio di discussioni di vita o di morte. Il testo si infittisce, si complica ma ci viene riportato dal sensibile lavoro dagli attori con estrema precisione, senza alcuna forzatura. La recitazione scorre naturale: ci troviamo di fronte ad uomini veri, con vere decisioni da prendere fra le mille complicazioni dell’animo. Ci sentiamo parte di quelle scelte e non possiamo non provare affetto per loro. La sala del teatro è piccola, ma questo ci permette un’intima condivisione: li spiamo e ne intravediamo le sfumature che loro sono pronti a regalarci.
Il dilemma di scegliere fra il dovere e la salvezza è coinvolgente e appassionato: ciascuno porta la sue esperienza di vita, la sua religione e morale per motivare la scelta personale di come superare il dolore che si subisce in guerra. Dolore dalle mille forme, di spersonalizzazione, di perdita, dolore della carne che passa attraverso nuvole di sangue e acre profumo di paura, dolore che è della mente, prima che del corpo. Ma questo dolore non può essere superato dall’individuo solitario che lo accresce con il suo caos soggettivo; esso ha bisogno di organicità per essere affrontato, di concentrazione che superi la disperazione. Un carro armato, composto da otto pezzi di carne sacrificabile, otto anime alte in perfetta connessione, sembra il giusto compromesso per affrontare la paura: la qualità di questa simbiosi può affrontare il destino, anche se esso è abbandonato al potere del caso.

Si parla troppo spesso nella Grande Guerra di quantità di vite umane spezzate. Ma chi erano queste vite? Chi combatte realmente la guerra? Il testo di Withby dipinge figure familiari profondamente umane e il lavoro presentato sotto la direzione di Georgia Lepore non ne storpia una virgola. Gli attori restituiscono vita agli occhi di ciascun personaggio.
L’epilogo è un’esortazione che risuona come comando militare: “oltre i verdi campi”. Verde come colore di tranquillità, di un luogo su cui camminare con elegante calma.

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Autore

Ludovica Avetrani

attrice, danzatrice, curiosa. caporedattrice delle sezioni di teatro e danza. odia le maiuscole.

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