ideato e diretto da Giancarlo Sepe ispirato ai personaggi creati da Pierre Boileau/Thomas Narcejac
con Compagnia del Teatro La comunità (Lucia Bianchi, Federico Citracca, Valerio Marinaro, gianluca Spatti, Federica Stefanelli, Guido Targetti) E con la partecipazione speciale di Pino Tufillaro
scene e costumi Carlo de Marino Musiche Davide Mastrogiovanni (a cura di Armonia Team) Luci Marco Laudando Produzione Marioletta Bideri Per/for Bis Tremila SRL 6 Giugno 2015, Castel Sant’Elmo, Napoli in occasione del Napoli Teatro Festival 2105
Raffinato noir estetizzante, Sudori freddi, ultimo spettacolo di Giancarlo Sepe – presentato al Napoli Teatro Festival nella suggestiva location di Castel Sant’Elmo – proietta lo spettatore in un’atmosfera da notte senza luna. Una tra tante, nel suo essere nera come la black box nella quale si svolge la rappresentazione, ambientata – a dire del narratore, prestigiatore e ventriloquo, interpretato da Pino Tufillaro – nella Parigi degli anni Quaranta, per poi trasferirsi durante il progredire della narrazione nella mefitica Marsiglia, luogo di perdizione e di identità fittizie. Nel serrato avvicendarsi di danze seducenti e morti apparenti, sussurri e grida, si animano i personaggi, “burattini mossi dalle loro passioni”: la femme fatale Madeleine/ Lucia Bianchi, mostrata nella sua delicata nudità, il suo amante Flavières, impersonato da ben quattro attori, l’“altra donna” Midge/ Federica Stefanelli, e il già citato Tufillaro, il quale riveste altresì il ruolo del marito tradito, Gèvigne.
Duplice e illusionista, la struttura dello spettacolo corrisponde a due trame sovrapposte, scritte dal duo Boileau-Narcejack ed entrambe alla base di due celebri pellicole dello scorso secolo, rispettivamente I Diabolici di Clouzot e D’entres les morts che diverrà Vertigo – La donna che visse due volte di Hitchcock. Le due storie, che hanno in comune il ruolo della donna come fulcro di perdizione e l’inganno come motore drammaturgico, si fondono a tal punto da non riuscire più a distinguersi, articolate in fulminee sequenze sceniche dove i frequenti giochi di specchi e di prospettiva lasciano intendere che ci si trova di fronte a una camera ottica, luogo dove si moltiplicano i riflessi dei corpi, così come le possibili diramazioni narrative.
Ciò che invece risulta inconfondibile e solido è il gusto di Sepe per i costumi di scena: gli uomini con borsalino e completo, le donne con tailleurs scuri o vestiti e vestaglie da sera, lingèries raffinate, trucco da vamp per rendere quel clima da mascherata noir, dove solitamente l’uomo o possiede la donna o ne viene distrutto. Ed è la seconda condizione, quella dell’uomo sconfitto, in questo caso moralmente, quella che attiene a Gèvigne, il vecchio che non può alla fine far altro che accettare l’attrazione dell’amata e perduta Madeleine – ogni riferimento a Proust è sicuramente voluto – per il più giovane Flavières, se possibile ancora più disperato di lui.
In Sudori Freddi i riferimenti sono adattati con libertà stilistica, componendo un marchingegno scenico che ha l’obiettivo di rendersi un dispositivo visuale che funzioni come una spirale, di cui si inverte il giro e si nega l’orientamento per poi riaffermarlo. E così la verità risulta inafferrabile, i personaggi sono come sonnambuli meccanici costretti a ripetere incessantemente i medesimi gesti e le medesime azioni; si muovono con equilibrio precario sui tetti di Marsiglia, ricreati sul fondo della scena con un gioco prospettico, danzano seminudi sulle note di Ne me quitte pas di Serge Gainsbourg, truccati con uno spesso strato di cerone, a sottolineare che l’anima è prosciugata dall’istinto, consumata dalla ricerca vana ed effimera di un’ideale amante, che si rivela un bluff o un cadavere.
Con notevole attenzione ai dettagli – il sipario dipinto con la locandina di Vertigo che serve da sfondo agli intermezzi del prestigiatore/ Gèvigne e costanti riferimenti ai film di Hitchcock – appaiono due intermezzi dove gli attori mimano le due scene madri di Psycho e Uccelli. Il Sudori Freddi messo in scena dalla Compagnia del Teatro La Comunità è un corpo velato, come quello della finta morta Madeleine, uno spettacolo che si basa sulla fisicità degli attori, coperta da un tessuto istoriato, rappresentato dal folto immaginario al quale Sepe si riferisce, incentrando la manieristica rappresentazione sui “sudori freddi” che assalgono chi è affetto da acrofobìa, ovvero chi soffre di vertigini; in questo caso probabilmente lo spettatore che vortica assieme alla spirale narrativa, “un noir senza storia”, da contemplare nella nebbia del finto fumo di scena, usato a dosi elevate a ribadire che tutto quello che vediamo è falso, ma non per questo meno attraente.