uno spettacolo di Bluemotion
regia di Giorgina Pi
traduzione di Margaret Rose e Laura Caretti
con Sylvia Defant, Gianmarco Di lecce, Mauro Milone, Aglaia Mora, Laura Pizzarini, Simona Senzacqua
luci Giorgina Pi e Marco Guarrera
costumi Gianluca Falaschi
suoni Michele Boreggi
dimensione sonora Valerio Vigliar
voce fuori campo di Marco Cavalcoli
26 Ottobre 2016, Angelo Mai, Roma
Caffettiera blu è un insieme di parole come tante altre, che però senza un contesto particolare risulta senza senso, forse ridicolo, che si insinua nei dialoghi degli attori, stravolgendone il significato che mette in discussione l’opera stessa. La comunicazione non verbale, la disgregazione del dialogo sono temi molto cari e continui nei lavori di Caryl Churchill, una delle maggiori drammaturghe inglesi contemporanee, poco conosciuta dal pubblico italiano.
Un tavolo e due sedie sono gli unici elementi presenti in scena, il pubblico è distribuito intorno ai quattro lati del tavolo, come dei vicini di casa che spiano l’intimità della famiglia accanto. La sensazione è quella di essere degli ospiti invisibili, che assistono ad un dramma familiare, un litigio, ad un inganno.
Derek è il protagonista di questa storia, un ragazzo bugiardo e manipolatore, le cui motivazioni sul perché delle sue azioni non saranno mai rivelate. Intorno a Derek ci sono le donne, le madri di cui dice essere il figlio perduto, donne che, per diverse ragioni, nel loro passato hanno dovuto rinunciare al loro bambino, dandolo in adozione. Derek gioca con i loro sensi di colpa, di attaccamento e d’orgoglio, per essere così accettato e amato, come un figlio.
La fidanzata di Derek è la sola a conoscere la verità, provando ad opporsi e a spezzare la catena di bugie con il triste risultato di diventarne involontariamente complice.
Senza spiegare il perché delle sua azioni, Derek è un personaggio enigmatico, incomprensibile, esattamente come la parola Caffettiera blu, definizione che man mano si diffonde nelle battute degli attori.
Lo spettacolo è composto da undici atti; la regia, all’apparenza semplice, risulta essere molto complessa. Ad ogni cambio di atto, gli attori girano intorno a un lato del tavolo, permettendo così al pubblico di godere di un altro punto di vista o prospettiva diversa. Gli attori sono mischiati in mezzo al pubblico, spezzando il divario tra spazio scenico e spazio dello spettatore. La prova attoriale è notevole, la presenza emotiva, la tensione fisica, fanno in modo che la parola-lapsus caffettiera blu non diventi mai ridicola, e quando quest’ultima sarà talmente onnipresente da rendere incomprensibile qualsiasi dialogo, saranno le emozioni, i silenzi, il corpo, a suggerire allo spettatore le parole mancanti.
Sotto questo punto di vista, lo spettacolo assume sfumature di gran pregio: è il pubblico a interpretare e dare significato personale alle parole mancanti, mangiate dalla tirannica espressione caffettiera blu, elevando il linguaggio non verbale come principale e solo veicolo di comunicazione emotiva.
Il testo è potenzialmente difficile da mettere in scena poiché custodisce delle dinamiche di pathos molto delicate: basterebbe che un attore cadesse per un attimo in un freddo tecnicismo che la tensione sarebbe perduta.
La messinscena di Caffettiera blu da parte della compagnia Bluemotion in scena è stata perfetta e precisa. Una concentrazione che non è stata turbata nemmeno dalla lunga scossa di terremoto, verificatesi durante lo spettacolo.
Possiamo solo che augurarci di vedere presto in scena altre opere di Caryl Churchill, interpretate con altrettanta bravura e professionalità.