Giorgio Nottoli | intervista ad EMUfest VIII

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Giovanni Michelangelo D’Urso intervista Giorgio Nottoli, in occasione della presentazione del suo brano 7 Isole all’EMUfest 2015.

Come ha vissuto la preparazione del pezzo presentato per l’ottava edizione dell’EMUfest e cosa si prova a portare un pezzo in un festival di cui è stato l’ideatore?

Preparare un pezzo per questo festival è una grande soddisfazione, un grande piacere e anche un grande stimolo, perché anche se la mia attività è quella di comporre (da molti anni) occorrono sempre stimoli nuovi; abbiamo bisogno degli altri, abbiamo bisogno di una situazione dove scambiare, abbiamo bisogno della critica e dato che qui arrivano persone da tutto il mondo ad EMUfest c’è tanto da scambiare.

Quale obiettivo si prefigge il brano che presenta questa sera?

Tengo molto a questa composizione e il suo titolo è “7 isole” per flauto percussioni e live elecronics. 7 isole perché l’idea era comunque quella di avere un certo numero di piccoli pezzi fortemente collegati tra di loro, che avessero una forte interazione tra loro, forti cose comuni. Mi affascinava questo tipo di composizione che poteva essere una composizione aforistica in principio, poi la durata dei vari frammenti è aumentata e ho deciso di chiamarla 7 isole. L’idea di isola nella mia mente si associa a tante cose, ad esempio anche la memoria mi sembra composta da isole. C’è l’isola di un amore lontano, c’è quella dell’amicizia dove noi in generale ci reinventiamo ogni volta e dove accade una storia parallelamente ad altre che la stessa persona vive. Quindi isole che hanno una loro indipendenza ma che stanno nello stesso mare e che quindi sono legate tra di loro in qualche modo. Ho voluto differenziarle tra di loro anche per la durata, l’isola più corta dura 33 secondi e la più lunga oltre i 4 minuti.

Cosa pensa del titolo Passare all’atto dell’EMUfest VIII? 

Mah non è che pensi granché, questo è un tema che avrei utilizzato, è sicuramente un tema ad effetto che preannuncia un azione e in questo senso mi sembra positivo, che piaccia o meno.

Come sta EMUfest da quando non c’è più lei?

Sarò molto sincero, EMUfest per me è stata una grande occasione, una grande fortuna e ha portato grandi soddisfazioni. Inventarlo è stato davvero un’avventura fantastica. Certo non si sapeva se ci sarebbe stata una risposta, ma poi invece è arrivata fin da subito! Anche oggi si parla di oltre 250 opere arrivate; numeri importanti che ci dicono cose che non sapevamo bene prima, come ad esempio quanta produzione c’è al mondo di pezzi elettroacustici. Infatti se consideriamo i numeri dell’EMUfest si può ben pensare ad una produzione annuale mondiale di un migliaio pezzi. Un numero impressionante! Questo significa che c’è una necessità di comporre, che questo tipo di musica è stata scelta da questa comunità che vi si riconosce. Il tutto sembra rivolto agli addetti ai lavori che è la cosa bella e allo stesso tempo la cosa brutta di questa musica. La difficoltà di questo ambito infatti è la non comunicazione con altri “compagni di cultura”, come scrittori, letterati e studiosi in generale. Su questo ultimo aspetto ancora si fatica.

Come vede EMUfest nel futuro?

Mah, questo dipende molto dalle circostanze, anche se ho fiducia in chi lo dirige oggi, che sicuramente avrà tutte le capacità per fare come e meglio di quello che già è stato fatto. Quando EMUfest è nato ci sono state varie circostanze fortunate, ad esempio la direzione di allora  mi diede carta bianca sull’organizzazione, sugli investimenti, sicuramente superiori rispetto a quelli che vengono fatti oggi per colpa dei tagli e della crisi. Devo dire che malgrado le circostanze non siano più così tanto favorevoli, sono convinto che Lupone e Bernardini possano fare tanto. Al momento il festival è in veste “ridotta” rispetto a quello che era e alle 130 esecuzioni totali di qualche anno fa. Però resto fiducioso nell’idea di EMUfest, anche perché  è adattissimo a Roma.

La Tecnologia in questo ambito musicale fa più bene o più male?

La tecnologia sembra innocente! La cosa che mi preoccupa molto invece è il riscontro non presente dopo un evento. Ovviamente bisogna capire perché questo non accade.

Quindi c’è una disattenzione…

Una disattenzione sì, ma sopratutto la chiamerei la fine di una funzione, in modo molto negativo. Pensiamo alla funzione di un concerto dell’800 di Chopin. Era un luogo per incontrare gli altri. Oggi i luoghi per incontrarsi sono ben altri. Facebook ad esempio è uno di questi. Io non so se dare la colpa all’informazione alla disattenzione o se semplicemente ci sia un problema di concentrazione. Cioè per ascoltare un pezzo di musica bisogna concentrarsi altrimenti non si percepisce. Perché in un mondo fatto di suoni è difficile che qualcosa ci colpisca in modo così eclatante. Un dramma in musica non è come un dramma cinematografico, per percepirlo abbiamo bisogno di più concentrazione. Si fa presto a dire che ci vuole cultura; la cultura non si sa cosa sia, infatti anche chi non è acculturato, se si lascia permeare, può capire. È un’avventura immergersi in queste nuove prospettive. Quest’avventura però comporta una solitudine, quella solitudine secondo me che è fondamentale per l’uomo. L’uomo deve stare insieme agli altri, ma per metà del tempo deve anche stare da solo.

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Autore

Giovanni Michelangelo D'Urso

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