La compagnia Scimone-Sframeli torna a provocare al Teatro Biblioteca Quarticciolo con Giù, un invito indignato a rompere il silenzio per dare voce agli altri, un urlo contro il marciume della società che umilia la dignità e la libertà dell’individuo.
Giù
Di: Spiro Scimone Con: Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Salvatore Arena, Gianluca Cesale Regia: Francesco Sframeli Assistente alla regia: Roberto Bonaventura Scena: Lino Fiorito Scena realizzata da: Retroscena-Napoli Disegno luci: Beatrice Ficalbi Produzione: Compagnia Scimone Sframeli, Festival delle Colline Torinesi, Théatre Garonne de TouloseDal 18 al 21 ottobre 2012 – Teatro Argentina, Roma
10 novembre 2012 – Teatro Biblioteca Quarticciolo, Roma
Vai al sito della Compagnia Scimone Sframeli
Metafora incarnata dell’incubo sociale in cui siamo accorti di essere precipitati solo da pochi anni, Giù del duo Scimone–Sframeli pone subito lo spettatore dinanzi a un enorme water, dal quale un Padre sente provenire la voce del proprio Figlio. Il Padre aiuta il Figlio a emergere oltre il bordo della tazza per scoprire che il Figlio non desidera uscire. Del resto, è grazie all’opera del Padre e della sua generazione se ora il Figlio «ha un futuro nel cesso».
Proprio quando sembra che il tema sia il conflitto generazionale padri-figli, l’irresponsabilità di una generazione incapace di garantire le condizioni minime per una degna sopravvivenza di quelle successive, il panorama si allarga perché scopriamo che laggiù, nei meandri del sistema fognario, non vive solo il Figlio, ma molti altri, tra cui un Prete «scomodo che non vuol più stare comodo» e un Sagrestano stanco di subire violenze in silenzio: un’intera popolazione di persone schiacciate dall’egoismo e dall’indifferenza, costrette a vivere nella melma di una società incapace di solidarietà e di giustizia e a subire tutto ciò senza aver voce. Soltanto adesso che l’aria si è fatta davvero irrespirabile – e grazie al sincero, seppur non immediato, interesse del Padre – i nostri anti-eroi raggiungono un parziale riscatto trovando perlomeno la forza di raccontarsi.
Ciò vale, in particolar modo, per il Sagrestano, che finalmente riesce a parlare degli abusi quand’era chierichetto. Una scena importante e necessaria nell’economia strutturale dello spettacolo, ottimamente ideata ed eseguita ma che probabilmente rappresenta il punto meno convincente del testo: una grossa macchia di contemporaneità – per di più trita e ritrita, con tutte le conseguenze del caso sull’attenzione e la tensione dello spettatore – in una tela lucidamente costruita dal respiro dichiaratamente universale.
Macabra visione dal tono surreale, Giù – la cui atmosfera, i cui ritmi e il cui linguaggio, semplice e formulare, rimandano immediatamente a quelli di Beckett – ha il pregio di rendere concreta la materia di cui parla mantenendosi in equilibrio tra il dramma e la comicità, anche se si tratta di risate amare che – pare voler ammonire lo spettacolo – in mancanza di un cambio di rotta rischiano di restare ben presto strozzate in gola allo spettatore: di spazio, laggiù, sembra essercene in abbondanza.