Grazia Toderi: Mirabilia Urbis

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Grazia Toderi arriva al Maxxi, in maniera permanente, con la sua ricerca sulla luce della “città eterna”: Mirabilia Urbis è un percorso di opere che scandiscono l’evoluzione del suo linguaggio fino ad oggi.

 

Artista: Grazia Toderi

Titolo: Mirabilia Urbis

A cura di: Monia Trombetta

MAXXI. Roma, via Guido Reni, 4/a

fino al 3 marzo 2013

Mirabilia Urbis  è una ricerca sulle visioni e rappresentazioni della città e dei continenti. Un viaggio introspettivo nella fantasia della fisica e della quotidianità, una rottura con l’impossibilità di viaggiare da fermi. Il percorso è avvolto da suoni che sono meccanici ma naturali allo stesso tempo, come lo strusciare della terra che ruota o l’orbita disegnata da un satellite, l’eco di un movimento innato e coltivato dalla città stessa, incomprensibile ma nitido. La prima stanza cade nel buio, uno schermo verde si impone allo spettatore. La video-artista gioca con la gravità terrestre planando dall’alto sulle forme degli edifici, sulle strade e sulle piazze fluttuanti nella notte; una città che gira su se stessa, ora più vicina, ora più lontana, pulsante di luci: artificiali e naturali, lampioni, satelliti, stelle, cielo e terra. Si è nello stesso tempo dentro le vie romane e sopra il cielo giocoso. Si è di fronte a un nuovo modo di percepire lo spazio che si dilata fisicamente e mentalmente.

La seconda stanza è Rosso (2007): appare una lente che focalizza un punto circoscritto in un rettangolo, un’orbita ferma, tantissime città stratificate, come dei notturni: si vedono solo dei tracciati di luce della città nella notte. Una Babilonia frammentata e poi ricomposta, sfumata in questa luce. L’immagine è simile a quella evocata da Italo Calvino ne Le città invisibili: «Viaggiando ci s’accorge che le differenze si perdono: ogni città va somigliando a tutte le città, i luoghi si scambiano forma ordine distanze, un pulviscolo informe invade i continenti».
Il rosso è il colore delle luci artificiali delle città al buio, ma fa anche riferimento al colore delle nostre palpebre chiuse mentre siamo rivolti alla luce: il richiamo è ad un mondo fuori e ad un mondo dentro di noi. Sono le luci pulsanti degli occhi, della città che si sedimenta e si trasforma.

Lo stesso vale per Orbite Rosse (2009) e Atlante rosso (2012), una doppia proiezione video che diventa un planisfero cartografico immaginario in continua trasformazione, rosso di luci, di orbite e di atmosfere. Nel primo doppio schermo le due immagini ruotano in direzioni opposte una all’altra, oraria e antioraria,  in un meccanismo di dissolvenza e forme luminose. Sembrano simili, mentre invece sono sempre diverse: profili di città notturne viste dall’alto che si trasformano l’una nell’altra,  sovrapposizioni di luoghi, di vite e di luci. Il secondo doppio schermo disegna atlanti immaginari che si eclissano, come pianeti e orbite che si aprono e chiudono come diaframmi. Sono sia le orbite dei pianeti ma anche le orbite oculari, appartenenti alla nostra testa, perché quello che c’è fuori, esiste prima dentro di noi.

E’ un’opera pittoresca sulle domande dell’infanzia, sullo sguardo candido al cielo e alla luce viva, che si illumina ancora prima delle luci della città.

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Autore

Redazione

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