Cave of Forgotten Dreams, 95’, Francia, Canada, USA, Regno Unito, Germania 2010
Regia Werner Herzog,
Sceneggiatura Werner Herzog,
Soggetto Werner Herzog,
Montaggio Joe Bini, Maya Hawke,
Fotografia Peter Zeitlinger,
Musiche Ernst Reijseger,
Produttore Erik Nelson, Adrienne Ciuffo,
Interpreti Werner Herzog (Se stesso,Narratore), Jean Clottes (Se stessa), Julien Monney (Se stessa),Jean-Michel Geneste (Se stesso). Michel Philippe (Se stesso), Gilles Tosello (Se stesso), Carole Fritz (Se stessa), Dominique Baffier (Se stesso), Valerie Feruglio (Se stessa), Nicholas Conard (Se stesso), Maria Malina (Se stessa), Wulf Hein (Se stesso),Maurice Maurin (Se stessa).
Ogni volta che un nuovo film di Werner Herzog appare nelle sale cinematografiche sappiamo già che ci troveremo di fronte a un’opera capace di sfuggire a facili etichette colmando lo spazio che separa lo schermo del cinema dalla realtà in cui viviamo. Herzog riapre gli occhi del mondo sul mondo. Armato di una troupe ridottissima e con pochissimi mezzi a disposizione, il regista tedesco si cala nelle profondità della grotta di Chauvet (Francia). Sito archeologico famoso per la presenza dei più antichi dipinti preistorici attualmente conosciuti.
Lunghissime carrellate sui disegni ci accompagnano ripetutamente per tutto il film. Partendo dalle caratteristiche mimetiche essenziali e acquisendo man mano sempre più valenza simbolica, le riflessioni sulla pittura rupestre e sulla loro genesi ignota mutano in una riflessione universale sull’intrinseco legame che unisce l’arte e l’uomo nel tempo. Uno dei ritrovamenti più sorprendenti mostra addirittura un bufalo disegnato sopra quello che sembra essere la rappresentazione di un sesso femminile. Un immagine costruita finemente che dimostra già nell’uomo preistorico una sorprendente capacità astrattiva. Lo sguardo degli studiosi di fronte a tali dipinti così non tradisce solo la meraviglia della scoperta, ma diventa lo sguardo dell’uomo che si specchia nell’arte e di conseguenza in se stesso.
Non è un caso se addirittura in una delle prime scene si arriva a parlare di una forma di proto-cinema. L’uso di sovrapposizioni delle immagini fa pensare a dei rudimentali fotogrammi e alcune conformazioni particolari delle rocce sembrano capaci di donare profondità a queste opere bidimensionali. Accenno che va tenuto in forte considerazione se si considera che Cave Of The Forgotten Dreams è il primo e ultimo film girato da Herzog utilizzando le moderne tecniche tridimensionali. I presupposti che giustificano questa scelta si ricercano nella volontà di immergere lo spettatore nelle profondità della caverna francese per mostrare queste immagini – scarne e lontane da ogni ricerca estetica – nel mondo più efficace e realistico possibile. Herzog distacca l’uso del 3D dalla forma di spettacolarizzazione che ne ha sancito la nascita e ne propone un uso appropriato agli scopi prefissati dal suo personalissimo cinema.
Se nel simbolico finale ci viene proposto di riflettere su come la nostra arte verrà vista in futuro allora il discorso si può allargare anche alle nuove tecniche cinematografiche che da poco stanno mutando il cinema. Non senza una certa ironia Herzog gioca sul paradosso tra le moderne tecniche tridimensionali e le tecniche di pittura sui muri risalenti a migliaia di anni fa. E forse ci suggerisce che proprio nella presunta aporia di questo concetto il 3D potrebbe cominciare a cercare il significato di cui è così disperatamente bisognoso.
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