Per sua natura, l’opera teatrale nasce e muore a ogni replica. Fino a qualche decennio fa, prima dell’avvento delle tecniche di registrazione video, questa era una verità assoluta e la dannazione degli studiosi e degli appassionati di teatro. In questi casi, tocca accontentarsi dei racconti dei contemporanei e sperare che i rifacimenti e gli omaggi tentati da altri artisti possano essere, se non uguali, almeno fedeli nello spirito; e questo è purtroppo il caso della stragrande maggioranza della produzione dell’attore-autore Ettore Petrolini, nato nel 1884 e morto nel 1936, e tra i massimi interpreti del teatro di varietà, della rivista e dell’avanspettacolo.
A me è toccata la fortuna di assistere alla performance di un altro attore-autore (e regista, visto che nel frattempo è successo Strehler) che, nel cimentarsi in uno di questi omaggi, è andato ben oltre, restituendo, oltre al repertorio, anche e soprattutto la persona del Petrolini.
Dell’artista scomparso, il sempre folgorante Gabriele Linari, non condivide molto, fisicamente, se non forse il ghigno. Il ghigno, sì. Perché è un Petrolini scuro, quello che ci viene presentato, un Petrolini, verrebbe da dire, del dietro le quinte di se stesso: un artista intrappolato non solo nei suoi personaggi, ma anche nel suo essere personaggio e, nello specifico, personaggio di puro intrattenimento, abito che sentiva stretto.
Questa è l’originale angolazione dalla quale Ho morto Petrolini ha il pregio di far rivivere uno dei grandi. Solo in scena, Linari alterna, senza soluzione di continuità, pezzi di repertorio con monologhi originali di raccordo (straordinario il primo, esempio riuscitissimo di mimesi drammaturgica), facendo raccontare al suo Petrolini la propria vita, dalla nascita alla morte, passando per la prigione, la gavetta, il successo. Quel che passa, sempre, è però un certo fastidio di fondo del personaggio.
«Ridere, ridere», ripete spesso, quasi a dileggiare il pubblico, che altro da lui non vuole se non ridere e ridere: evadere, quando forse invece ci sarebbe da lottare, magari col sorriso, ma fermamente lottare (Petrolini è famoso per aver più volte dileggiato, con la sua arte, la dittatura. Che, dopo quasi un secolo, Linari avverta un bisogno simile?). Così ecco che, paradossalmente, il climax dello spettacolo è costituito da una lunga, lunghissima pausa, che il personaggio si prende per scendere tra il pubblico, per osservarlo in silenzio come si osserva un animale strano, forse anche un po’ ripugnante, probabilmente indegno di quelle stesse risate che tanto invoca.
Grande prova d’attore-autore, dunque; ma anche di regista, per certe immagini che restano scolpite nella memoria e per l’ormai tradizionale e intelligente riutilizzo degli stessi oggetti in veste diversa.
Petrolini può perciò perdonare il Linari se l’ha morto perché, così facendo, ha potuto davvero rivivere.
HO MORTO PETROLINI
scritto e diretto da Gabriele Linari (da Ettore Petrolini)
con Gabriele Linari
dal 21 febbraio al 18 marzo 2012, ore 21.00 (domenica ore 18.00)
Teatro Due – Roma