È uscito in Italia il 6 giugno il film capolavoro di Leos Carax, già presentato in concorso al Festival di Cannes 2012. L’anteprima di Holy Motors, che ha vinto il Prix de la Jeunesse, si è svolta presso il Cinema Quattro Fontane di Roma alla presenza di numerosi giornalisti.
Holy Motors, di L. Carax, Fra 2012, 115′
Sceneggiatura: Leos Carax
Immagine: Caroline Champetier, Yves Cape,
Montaggio: Nelly Quettier
Suono: Erwan Kerzanet, Katia Boutin, Josefina Rodriguez, Emmanuel Croset
Trucco: Bernard Floch
Coproduzione: Pierre Gris Productions, Théo Films, Arte France Cinéma, Pandora Film, Wdr-Arte
Con la partecipazione di: Canal+
Distribuzione: Movies Inspired
Interpreti: Denis Lavant, Edith Scob, Eva Mendes, Kylie Minogue, Michel Piccoli
«Non ci sono fatti, ma solo interpretazioni» afferma Nietzsche in uno dei suoi frammenti postumi.
Una sala cinematografica piena in ogni suo posto contiene spettatori semiaddormentati. Non vediamo lo schermo. Sentiamo soltanto uno sparo e poi il rumore di una nave. Un uomo si sveglia e attraverso una porta segreta di cui il dito medio è la chiave, attraverso una protesi, entra nella galleria della sala vista prima. Osserva lo schermo mentre sotto di lui un bambino corre in un corridoio tra le file della platea. È poi un molossoide dalla corporatura scarna a camminare, a fatica, in quello stesso corridoio. Che forse quel bambino e quel cane siano la metafora del cinema poco importa. Il prologo di Holy Motors dai forti tratti lynchiani getta luce sull’incapacità contemporanea della settima arte di scuotere il pubblico dalla sua malattia più grave, quell’anestesia catatonica dello sguardo di cui proprio un certo tipo di cinema è portatore insano. C’è dunque una specularità mancata tra le persone presenti nella sala di Holy Motors e le persone che vedono, in qualsiasi sala cinematografica, il film Holy Motors: gli occhi, che il regista ci permette di aprire.
L’ultimo film di Leos Carax è un insieme di alcuni progetti che aveva in mente ed è l’antidoto all’involuzione cinematografica attraverso una narrazione e una sceneggiatura costruiti a perdifiato tramite una regia di ricerca e qualità. Holy Motors è un’analisi della crisi del concetto d’identità e un suo ribaltamento produttivo, geniale, dai tratti postmoderni e che riprende registi come Chaplin e Clair.
24 ore dell’esistenza di Monsieur Oscar – interpretato magistralmente dall’istrionico Denis Lavant – che nella sua vita attraversa una serie di personaggi completamente diversi fra loro per «la bellezza del gesto». La limousine su cui viaggia non è la casa in movimento ipertecnologica in cui vive il protagonista di Cosmopolis di Cronenberg, bensì è un camerino mobile, un purgatorio in attesa del prossimo atto. La decomposizione del concetto di persona instaura l’avvento della polisemia dell’identità e del corpo: da manager dell’alta finanza a stanco uomo che ritorna a casa dove lo aspettano due scimmie, attraverso una povera mendicante, un ninja virtuale, il signor Merda, il padre di una ragazza con le prime crisi adolescenziali, un killer spietato, un vecchio morente, Oscar si configura come il performer dell’uno, nessuno e centomila. È l’irruzione della performance delocalizzata nella vita reale tra premeditazione e sconvolgimento spaziotemporale.
Ma cos’è l’Holy Motors? Per chi lavora Oscar? Dove sono le telecamere che riprendono le sue prestazioni? Non ci sono, poiché tutta la bellezza è insita nei nostri occhi. Come lui molte altre persone girano, in attesa di compiere i loro appuntamenti, in limousine, per una Parigi che Carax riprende sia pittoricamente sia scannerizzata agli infrarossi. Il corpo dell’essere unicum diviene carne, terreno primordiale dell’essere plurale e della sua commistione con i concetti di verità e finzione.
Sacri siano i motori delle automobili e delle azioni in questo sonoro rombo del cinema. Non ci sono persone, ma solo interpreti e limousine, entrambi parlanti, afferma Carax.
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