Titolo originale: The mill and the cross
Regia: Lech Majewski
Sceneggiatura: Lech Majewski, Michael Francis Gibson
Musiche: Lech Majewski, Jòzef Skrzek
Durata: 92′
Cast: Rutger Hauer, Charlotte Rampling, Michael York, Joanna Litwin, Dorota Lis
Il legame tra il cinema e le arti, e in modo particolare con la pittura, non è una novità. Anzi, si tratta di una delle colonne portanti per quanto riguarda la Settima Arte.
Il nuovo film di Lech Majewski, però, allarga ulteriormente i confini di questo sodalizio, specialmente dal punto di vista sperimentale. Ispiratosi a una delle analisi che fece il critico d’arte Michael Francis Gibson, I colori della Passione, lavoro che ha visto impegnato il regista e tutta la sua equipe per oltre 4 anni, dà vita a un’esperienza visiva di forte impatto, soprattutto sul piano estetico e intellettuale.
Siamo nel 1564. Nel territorio delle Fiandre, governato in maniera sanguinosa dagli spagnoli, il pittore Pieter Bruegel (Rutger Hauer) si trova a lavorare su una reinterpretazione fantastica della Passione di Cristo. La salita al Calvario viene magistralmente ambientata dall’artista nel XVI secolo, con il Golgota che viene trasformato in un cupo paesaggio campestre. Lo stesso Bruegel ci fa entrare nella narrazione dell’opera d’arte e nei frammenti di vita di una serie di personaggi, i quali si trovano costretti ad affrontare la violenta repressione attuata dall’Inquisizione. Tra di essi, dovrebbe spiccare, al centro della vicenda, la figura del Redentore, ma contrariamente alla filosofia di questa tipologia di dipinti che trattano temi religiosi, il Cristo è collocato in secondo piano, in mezzo a una folla di persone desiderose di vederlo morire e di fronte alla figura di un mugnaio, suggestiva metafora di Dio, che sovrasta il tutto. Tutte queste storie si sviluppano di fronte all’amico e collezionista d’arte Nicholas Jonghelinck (Michael York). Particolare rilevanza viene attribuita alla figura che più delle altre incarna in sé e nelle sue espressioni il dolore e la sofferenza: la Vergine Maria (Charlotte Rampling). Un film, dunque, che non si limita a essere un punto di riferimento per l’estetica del cinema, ma che al suo interno contiene una cospicua presenza narrativa, in cui tante vicende convergono su un unico scenario.
Sul piano strettamente tecnico, il film è stato elaborato secondo i tableaux vivant, dove i personaggi e lo spettatore vengono immersi in un universo scenografico fantastico attraverso la fusione di location naturali, pittoriche e digitali e con il ricorso alle più innovative tecnologie. Si tratta di un sistema di lavorazione assolutamente rivoluzionario e pioneristico di rappresentare l’arte nel cinema, perchè il loro utilizzo assume finalità espressive. A tutto ciò, si aggiunge l’equilibrio e l’eleganza con cui la macchina da presa, attraverso la sua inquadratura, dia la possibilità ai nostri occhi di poter assaporare la spettacolarità di questo capolavoro. La fotografia è curata digitalmente in tutti gli aspetti e tende a dare risalto all’elemento principale di cui si caratterizza anche la pittura, ossia il colore, il quale, in maniera prettamente estetica, risalta in primo piano. Lo spettatore è chiamato a una folgorante immersione a tutto tondo di una singolare interpretazione di un evento storico che è diventato il dramma per eccellenza, senza aver bisogno del 3D per poter funzionare.
Il fascino portato dalla contaminazione fra il linguaggio cinematografico e quello pittorico ha fatto innamorare molti altri noti autori del cinema, a cominciare da Andrei Tarkovsky (Lo specchio), per poi continuare con Eric Rohmer (La nobildonna e il duca) e Aleksander Sokurov (Arca russa). Ogni volta che la Settima Arte si basa sulla compenetrazione e la fecondazione dei diversi linguaggi artistici, ci fa vivere sempre qualcosa di straordinario, poiché riesce ad andare oltre se stesso. E la carrellata finale, in cui il nostro sguardo esce dall’essenza dell’opera d’arte, sottolinea non solo quest’ultimo aspetto, ma soprattutto che tale esperienza dovrà essere in grado di proseguire nella storia del cinema, esattamente come è successo per il dipinto La salita al Calvario e per il film I colori della Passione.
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