I cortometraggi del Film Festival Turco I

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Durante il Film Festival Turco, tenutosi al cinema Barberini dal 26 al 29 settembre, sono stati selezionati e presentati in una sezione apposita cinque cortometraggi di giovani film-makers, tutti girati nel 2012, insigniti di numerosi premi, e che ci consegnano un termometro di cosa fanno i nostri vicini di casa, tra ispirazioni formali e storie molto diverse tra loro.

La fine dell’universo – Evrenin Sonu, di Eli Kasavi

Sceneggiatura: Eli Kasavi

Fotografia: Arthur Mulhern

Montaggio: Eli Kasavi

Produttore: Nefes Polat

Sala da Riposo – Istirahat Odasi, di Hakan Burcuoğlu

Sceneggiatura: Hakan Burcuoğlu

Fotografia: Orçun Özkılıç

Montaggio: Hakan Burcuoğlu

Produttore: Hakan Burcuoğlu, Rahman Altın

Musa, di Serhat Karaaslan

Sceneggiatura: Serhat Karaaslan

Fotografia: Ahmet Gençünal

Montaggio: Cahit Çeçen

Produttore: Serhat Karaaslan

La fine dell’universo – Evrenin Sonu, di Eli Kasavi, è il progetto finale del regista presso la prestigiosa London Film School. Un ricco ragazzo vive una vita alienante: soffocato dalla sua famiglia, si costruisce un mondo tutto suo attraverso la musica e la danza. Il film non presenta i quattro caratteri tipici della cinematografia turca – fotografia estremamente plastica, quasi completa assenza di musica extradiegetica, forte predilezione per temi esistenziali e critica dello status quo economico – prediligendo gli stilemi cari a tanta produzione soprattutto anglosassone, che si avvale di un simbolismo un po’ stanco e di un trattamento dell’immagine “oniricizzante”.

Sala da Riposo – Istirahat Odasi, di Hakan Burcuoğlu, è un cortometraggio fortemente intessuto di rimandi al cinema occidentale – evidente il richiamo a Shining di Kubrik e a Brazil di Gilliam  – e imbevuto di immaginario distopico: un impiegato statale è affetto da disturbi psicologici, la sua sofferenza lo declassa, finché non decide di rivolgersi a una sorta di centro per il suicidio assistito, molto burocratizzato, molto pulito. Ma alla fine decide di fuggire. Nonostante la padronanza formale della camera, la sceneggiatura non coinvolge.

Musa, di Serhat Karaaslan, è una piccola perla sulle maestranze cinematografiche. Un regista, Zeki Demirkubuz, propone a Musa, venditore abusivo di DVD, un ruolo nel suo prossimo film. Il ragazzo, prima diffidente, è preso da un irrefrenabile entusiasmo, mentre guarda giorno dopo giorno tutti i film dell’autore – e ogni tanto si addormenta. La speranza di cambiare vita lo porta a parlarne con il fratello e i coinquilini, che lo prendono in giro. Ogni tanto si guarda allo specchio ricordando la famosa scena di Taxi Driver. Ma la telefonata tarda ad arrivare, Musa va a cercare il regista nel bar in cui si riuniscono gli intellettuali, e l’anziano proprietario gli dice che è già partito, portandosi via quell’idiota di suo figlio per trasformarlo in un attore.

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Autore

Giulia Belloni

« Art et politique tiennent l'un à l'autre comme formes de dissensus, opérations de reconfiguration de l'éxperience commune du sensible» Jacques Rancière, Le spectatuer émancipé (2008).

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