Durante il Film Festival Turco, tenutosi al cinema Barberini dal 26 al 29 settembre, sono stati selezionati e presentati in una sezione apposita cinque cortometraggi di giovani film-makers, tutti girati nel 2012, insigniti di numerosi premi, e che ci consegnano un termometro di cosa fanno i nostri vicini di casa, tra ispirazioni formali e storie molto diverse tra loro.
Senza memoria – Belleksiz, di Şükriye Arslan, Turchia, 2012, 5′
Sceneggiatura: Esra Solmaz
Fotografia: Şükriye Arslan
Montaggio: Şükriye Arslan
Produttore: Bağımsız
Il Vapore – Buhar, di Abdurrahman Öner, Turchia, 2012, 12′
Sceneggiatura: Abdurrahman Öner
Fotografia: Meryem Yavuz
Montaggio: Mustafa Taşıtman
Produttore: Abdurrahman Öner
Senza memoria – Belleksiz, di Şükriye Arslan, si inserisce nel nutrito filone di opere riguardanti il problema dell’interazione tra memoria individuale e responsabilità storica, molto caro alla tradizione cinematografica turca. Durante quella che sembra essere una sessione psicoterapica, o un interrogatorio, una ragazza risponde a delle domande che non possiamo ascoltare, raccontando, in frammenti, una storia sanguinosa di morte e deportazione. Sorride, si giustifica, perché non conosce i dettagli. Ha visto, ma non ricorda, le è stato raccontato qualcosa, le hanno detto di dimenticare e lei lo ha fatto. Perché era necessario per sopravvivere, dimenticare e occuparsi di cose banali.
Il Vapore – Buhar, di Abdurrahman Öner, è un piccolo capolavoro. Avvalendosi di un plastico bianco e nero, una camera fissa ci mostra una donna velata, lo sguardo rivolto a terra, che entra ed esce da una stanza al centro della quale troneggia una televisione. Un carrello in avanti ci porta ad un passo dallo schermo: c’è un talk show in tv, delle donne dall’aspetto emancipato parlano delle loro avventure amorose e di come abbiano cambiato idea sul matrimonio. Quasi ci appassioniamo ma ecco che lentamente la camera si sposta orizzontalmente. Lentamente, inquadra un piccolo cucinino – la donna stava dunque apparecchiando. Sul fornello c’è una teiera, ma la camera non si ferma e molto lentamente ritaglia lo specchio sopra la cucina come finestra di rivelazione su un triste, strano siparietto. La donna mangia a rilento – in sottofondo ancora le donne che chiacchierano in tv, la teiera comincia a fischiare – mentre il marito, appena rientrato, con molti giri di parole le fa capire che ha deciso di ripudiarla a causa della sua sterilità per sposare un’altra donna, con rito civile. E’ tutto già pronto. Quando il marito conclude il suo cinico discorso, la sua metà di specchio è completamente ricoperta di vapore, vediamo solo la donna, il suo profilo irrigidito in un misto di emozioni domate da un’inquietante disciplina. Quando lui le chiede di prendergli il posacenere lei si alza e lo uccide, per poi versarsi del tè. Il vapore a poco a poco svanisce, mostrandoci il cadavere riverso a terra in una pozza di sangue. L’elegante soluzione formale del vapore che vela lo specchio riprende un topos classico della rappresentazione investendolo di un nuovo valore significante di “flusso naturale” e, unitamente all’utilizzo di un lungo ma equilibrato piano sequenza con il suo portato di “tempo reale”, sembra cullare la presa di coscienza della donna, anticipata dal discorso diegetico percepibile come sottofondo dell’azione.