Liberamente tratta da Spettri di Ibsen, l’opera di Filippo Gili, L’ultimo raggio di luce, ne conserva le principali peculiarità. Tra tutte, l’assenza di sole, fortemente sofferta in un paese climaticamente cupo come la Norvegia, rappresenta il leitmotiv della pièce. In entrambi i casi, è evidente un forte rimando simbolico a una privazione dell’anima, alla mancanza di calore familiare, di certezze, di speranza.
Lorenzo, il giovane protagonista, è figlio di un padre dissoluto e di una madre patologicamente possessiva. Il ragazzo è il frutto dell’incontro di disperazione e terrore, che infestano la casa alla stregua di terribili fantasmi. E perciò si ha una così abietta paura della luce. Spettri. Non si riesce a liberarsene. Spettri ovunque.
Per evitare il contagio morale, la donna manda il fanciullo a studiare in un collegio francese, allontanandolo radicalmente dal suo nucleo d’origine, ma permettendogli di diventare un pittore affermato. Quale possa essere il risultato di tanta rigidità sulla psiche di un individuo ancora in fieri è evidente. Ad aggravare la situazione contribuiscono tutte le bugie che la madre dissemina nelle lettere a lui destinate per trasmettere l’immagine di una famiglia irreprensibile.
L’ipocrisia borghese arriva al punto di voler conferire eternità al nome dell’avvocato Danzi, morto di sifilide, intitolandogli un asilo per bambini orfani che, per il gioco di un destino ironico e giustiziere, andrà completamente a fuoco.
Non si può fare a meno di notare il paradosso di far convivere il dannato con il salvatore per compiacere l’insensata etichetta sociale, alla quale viene immolata la felicità di intere generazioni. Bella la figura di Suor Giovanna, completamente scevra da falsità e dotata di un grande senso pratico.
Tornato a casa dopo un lungo periodo di assenza, Lorenzo manifesta tutta la sua inquietudine per un passato poco convincente, che scoprirà essere per lui una duplice condanna: spirituale, per essere stato privato ingannevolmente di un equilibrio interiore; fisica, perché contagiato dal padre per via ereditaria.
Il pessimismo ibseniano non lascia appigli alle illusioni: Cristina, l’unica donna amata e sola possibilità di riscatto per Lorenzo, finisce per rivelarsi la sua sorellastra, frutto di una relazione extra-coniugale del padre con una cameriera. Con lei si instaura un’intesa speciale: scambi maldestri di timidezze e di paure, condivisioni profonde di emozioni e tormenti esistenziali, sincere confessioni. In presenza della fanciulla, il colore delle sue opere non è più la vaghezza, riflesso della sua crisi d’identità. A lei, a lei sola, avrà il coraggio di chiedere fissando il muro: Stai guardando il sole? No, sul serio: da quanto tempo non appare qui il sole?
Sarà proprio la ricerca dell’ultimo raggio di luce, di uno spiraglio di vita, ad accompagnare la morte del ragazzo, indotta dalla morfina per intervento di una madre combattuta e disperata.
Nel riprodurre il declino della società borghese di fine Ottocento, al cui interno morale e ideali romantici non trovano più spazio, il regista ha voluto rielaborare tematiche delicate in chiave moderna: amore libero, eutanasia, incesto, mancanza di valori e ricerca della verità.
Oltre all’encomiabile bravura degli attori, degna di nota è anche la scena, caratterizzata da bei quadri evocativi, tanto eloquenti quanto gli stessi personaggi.
L’ULTIMO RAGGIO DI LUCE
da Spettri di Ibsen
scritto e diretto da Filippo Gili
con Pierpaolo De Mejo, Liliana Massari, Rossana Mortara, Vanessa Scalera
pittura e costumi Valeria Onnis
aiuto regia Katia Gargano
luci Javier Delle Monache
Dall’ 8 al 19 febbraio 2012
Teatro Argot – Roma