Eugène Ionesco ci dà il benvenuto nella casa dell’assurdo. Qui la pendola suona sedici volte, ma sono le nove. Mrs e Mr Smith, tipica coppia borghese elegantemente vestita di stracci, sono seduti l’uno accanto all’altro, tutti intenti in un avvincente non-dialogo. La descrizione minuziosa del lauto pasto serale rappresenta l’argomento principe della serata e tanto ne è coinvolto il marito che schiocca regolarmente la lingua in segno di singolare assenso, pur continuando a leggere il giornale. Il verso si trasforma in parola solo quando Mr. Smith apprende dal quotidiano della morte di Bobby Watson, deceduto circa due/quattro anni or sono e al cui funerale i coniugi hanno partecipato l’anno precedente. L’arrivo dei Martin, che ricordano di essere sposati solo quando scoprono di avere entrambi una figlia con un occhio bianco e uno rosso, giunge a interrompere finalmente il digiuno degli Smith, iniziato dalla mattina, eccezion fatta per l’abbondante cena.
La serata procede tra chiacchiere vacue e insensate, irrazionali sbalzi d’umore, frasi ridicole da manuale (il soffitto è in alto; il pavimento in basso) e luoghi comuni stranianti e spersonalizzanti, come gli stessi protagonisti di quest’anti-pièce.
L’improvvisa comparsa del pompiere alla disperata ricerca di fuoco, emblema dell’importanza sociale dell’attività professionale, è un espediente per far irrompere una buona dose eccitazione in un noioso e stereotipato ambiente all’inglese. Tanto è l’entusiasmo che i presenti si mettono a raccontare aneddoti senza capo né coda, fino a recitare un complicato scioglilingua cui tutti danno il proprio contributo con straordinaria abilità.
Non trascurabile la figura di Mary, la domestica bizzarra in cerca di affermazione personale, il cui ruolo è a metà tra Sherlock Holmes e il coro di una tragedia greca.
Al di là dell’esilarante comicità che nasce dal non-senso di cui è imbevuta l’opera da cima a fondo, non si può far a meno di notare la funzione di pamphlet rivoluzionario che caratterizza questo capolavoro di Ionesco. La prima a esserne sconvolta è l’azione scenica. I personaggi perdono ogni reale funzionalità, ridotti come sono a meri burattini meccanizzati, incapaci di comunicare e dar significato alla loro esistenza, puro riflesso di sciocche convenzioni e ipocrisie sociali. Le loro azioni non sono altro che automatismi pavloviani, come lo schioccare della lingua di Mr. Smith. Essi si muovono sul palcoscenico seguendo simmetrie rigide, in opposizione alla vaghezza dei loro ragionamenti illogici. Anche il tempo, simboleggiato dalla pendola, è presentato nella sua relatività. Tutto è parodisticamente sconvolto.
Nello stravolgimento generale dei sistemi, la bravura singolare degli attori rimane uno dei pochi punti fermi.
Quanto al titolo, a chiunque venisse in mente di chiedere: «A proposito, la cantatrice calva?», l’unica risposta plausibile, in questo contesto, sarebbe: «Si pettina sempre allo stesso modo».
LA CANTATRICE CALVA
Di Eugène Ionesco
Regia di Giancarlo Fares
Con Claudia Campagnola, Stefano Thermes, Fabio Galadini, Sara Greco Valerio, Ariele Vincenti, Vania Venuti
Dal 21 febbraio al 4 marzo 2012
Teatro Argot Studio – Roma