Lo spazio è condizione a priori della nostra conoscenza. Se il soggetto non possedesse già un senso esterno, Kant ci insegna, non conoscerebbe mai gli oggetti che si trova davanti, perché non saprebbe dove collocarli. Si tratta dunque di una categoria che ci consente di conoscere il mondo. Come si fa, però, a conoscere lo spazio stesso? In altre parole, cos’è lo spazio, non per l’uomo, ma per se stesso? Questi gli interrogativi che sembrano guidare la ricerca di Jean- Marc Bustamante, fotografo, scultore e pittore francese, attualmente in mostra a Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia a Roma, con una selezione del suo lavoro degli ultimi trent’anni.
Entrando, ci troviamo davanti ad una serie di fotografie a colori su grande formato, intitolata paradossalmente Tableaux – Quadri -, e raffigurante degli enormi cipressi. Ci colpisce subito la scelta di costringere il luogo della rappresentazione ai soli alberi, eliminando qualunque altro elemento. Non si vede la terra da cui sorgono, né il cielo cui tendono. Non c’è alcun rimando a niente che non sia la presenza stessa. Come se al di là dell’oggetto – palesemente allegorico -, non ci fosse niente da vedere, o meglio, niente da esplorare.
In un’altra serie di Tableaux compaiono invece costruzioni – case, palazzi – o elementi di costruzione – mattoni, cemento -, che spiccano nella loro neutralità estetica. Intorno, quasi a fare da cornice, la natura. Alberi, terra, fango, acqua, sono nascosti dagli oggetti imperanti, e nello stesso tempo mostrati da essi: è proprio la loro indifferenza contemplativa a guidarci verso ciò che non si vede. Come la siepe di Leopardi che «da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude», gli oggetti di Bustamante impediscono una visione diretta del mondo. Ed «Io nel pensier mi fingo».
In S.I.M. 4-97-B – 1997 -, altra fotografia a colori, lo scenario è del tutto mutato: dietro una grata, si apre uno spazio completamente vuoto, quasi deserto, se non fosse per il tavolo, le sedie e le piante sul fondo. Questa volta è l’assenza stessa a fare da soggetto all’opera: un’assenza che permette di osservare e studiare la struttura dello spazio. Forte è il gioco di composizione che si crea tra le figure geometriche del pavimento e quelle della grata, come si trattasse di un puzzle. È qui che l’accostamento alle opere del pittore secentesco Pieter Jansz Saenredam, scelte dallo stesso Bustamante, trova una spiegazione: l’olandese, infatti, ha portato in pittura le prospettive offerte dall’architettura, specie quella religiosa, dedicandosi all’analisi della proporzione e della simmetria. Era solito dipingere chiese vuote, dove la nudità acuta degli spazi è accentuata da esercizi di prospettiva rigorosi e dalla presenza di oggetti geometrici.
Nel Grand Salon, infine, Bustamante ci regala quattro Peintures, realizzate per l’occasione, in linea con gli interventi di Balthus, ex direttore di Villa Medici, sulle pareti interne. Si tratta di serigrafie su plexiglas, create a partire dagli schizzi a pennello giapponesi, con colori a inchiostro. Nonostante le dimensioni monumentali – 300 x 195 cm -, dovute alla grandezza della sala, la loro presenza è davvero sottile: sono utilizzati solo due colori, giallo ocra e rosa pallidissimo, talmente bene intonati alle pareti, che quasi si confondono con esse.
Un percorso di grande coerenza e maturità artistica, dunque, che va dalla negazione scettica dello spazio all’immaginazione, dallo studio calcolato all’intervento mirato.
JEAN-MARC BUSTAMANTE – VILLA MEDICI
opere di Bustamante, Pieter Jansz Saenredam,
5 febbraio – 6 maggio 2012, Accademia di Francia a Roma -Villa Medici,
curatore Éric de Chassey.
foto Jean- Marc Bustamante, S.I.M. 4-97-B, fotografia a colori, 57x 85 cm, coll. part, 1997.
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