Titolo originale Tenku no shiro Laputa, Giappone (1986)
Durata 124′
Genere Animazione
Regia Hayao Miyazaki
Soggetto e Sceneggiatura Hayao Miyazaki
Produttore Isao Takahata
Produttore Esecutivo Yasuyoshi Tokuma
Casa di produzione Studio Ghibli
Art director Toshio Nozaki, Nizou Yamamoto
Animatori Tsukasa Tannai, Yasuko Tachiki, Yoshinori Kanada
Montaggio Yoshihiro Kasahara, Hayao Miyazaki, Takeshi Seyama
Musiche Joe Hisaishi
Scenografia Toshio Nozaki, Nizou Yamamoto
Sfondi Katsu Hisamura, Kazuhiro Kinoshita, Lijima Kumiko, Noriko Takaya, Masaki Yoshizaki
Uscito nelle sale cinematografiche nipponiche nel 1986, il primo vero lavoro della Studio Ghibli si presenta nelle sale italiane solamente quest’anno, ben 26 anni dopo. In realtà venne distribuita una versione home video nel 2004, ma dopo poco tempo venne tolta misteriosamente dal mercato. È un peccato che l’Italia abbia dovuto attendere così a lungo per avere sui propri schermi il terzo lungometraggio di Hayao Miyazaki.
Considerato tra i film più avventurosi e movimentati della carriera del maestro giapponese, Il castello nel cielo si contraddistingue per la consueta bellezza e fantasia. Ricco di citazioni letterarie e di riferimenti leggendari, dal riferimento biblico alle città di Sodoma e Gomorra ad Atlantide e a I viaggi di Gulliver, che dimostrano gli innumerevoli punti di riferimento da cui il lungometraggio prende vita, è possibile riscontrare quelle che sono le tematiche più care a Miyazaki. La natura, dirompente nel suo manifestarsi, è l’assoluta protagonista delle scenografie magiche del paradisiaco castello di Laputa dove regna una scienza sovrumana in grado di vincere la forza di gravità: un luogo che diventa ideale per raccontare l’elemento di corruzione che caratterizzata l’umanità incline all’avarizia e alla brama di potere, ricchezza e gloria terrena. Laputa, contrariamente, è un Eden irraggiungibile che nasconde, però, anche un aspetto infernale e distruttivo che si scatena violentemente se provocato.
In questa vicenda così ricca di riferimenti, trova spazio anche l’amore, visto qui come un sentimento del tutto puro. I due giovani protagonisti, Bazu e Shita, si cercano e si rincorrono reciprocamente manifestando quel sentimento d’amore profondo che non riesce, però, a essere concretizzato.
Il personaggio di Bazu è un action hero, in quanto non si trova a sfidare degli spiriti innocenti, ma veri e propri nemici, elemento, questo, assolutamente atipico rispetto alle successive produzioni del maestro dell’anime. I nemici, ad ogni modo, non sono sagome totalmente avvolte dalla malvagità, ma presentano molteplici sfaccettature, manifestando una caratterizzazione psicologica e sentimentale particolarmente curata.
Alle volte ci troviamo di fronte a dei ribaltamenti delle posizioni rispetto all’inizio del film, a prova di una sceneggiatura complessa, ma molto ben costruita.
L’antimilitarismo, che già si nota apertamente nel personaggio del Comandante, si mostra a noi in maniera piuttosto forte, a dimostrazione della fortissima denuncia di Miyazaki: i soldati arrivano a Laputa e la prima cosa che fanno è distruggere e saccheggiare gli ori del castello, non mostrando alcun tipo di rispetto e considerazione. La loro fine, di conseguenza, sarà tragica. La volontà di voler abbracciare più spunti di riflessione possibili arriva a rendere visibile, per immagini, persino la violenza della morte.
Un film, dunque, che non va visto come una semplice e spensierata fiction d’animazione per bambini, ma che, nella sua maturità, è in grado di catturare l’attenzione di qualsiasi tipo di pubblico. Per qualunque appassionato di anime si tratta di un momento fondamentale per la nascita del genere sugli schermi cinematografici, in una vicenda che sa abbracciare suggestioni poetiche varie, superando ogni limite.