CARNAGE
regia di Roman Polanski
sceneggiatura Roman Polanski, Yasmina Reza
attori Kate Winslet, Christoph Walts, Jodie Foster, John C. Reilly
fotografia Pawel Edelman
montaggio Hervé de Luze
musiche Alexandre Desplat, Albert Iglesias
produzione Constantin Film, SBS Productions
distribuzione Medusa Film
paese Germania, Francia 2011
durata 79 Min
Basta il primo scambio di battute de Le dieu du carnage di Yasmina Reza per capire perché Roman Polanski abbia deciso di trasporlo sullo schermo. Poche volte un autore è stato in grado di denudare con tanta corrosiva, e al tempo stesso esilarante, ferocia il velo che copre la crudele inciviltà della natura umana.
In un confortevole salotto borghese, due coppie si incontrano per risolvere una lite scoppiata ai giardinetti tra i loro figli. Penelope (Jodie Foster), quella che si definirebbe una donna ‘impegnata’, e Michael (John C. Reilly), un accondiscendente venditore di impianti da bagno, sono i genitori della vittima. Nancy (Kate Winslet), sofisticata consulente finanziaria, e Alan (Christoph Waltz), avvocato di successo, sono quelli del carnefice.
Polanski, senza mai assumere il tono del moralista, sguazza nei meandri della barbarie umana facendo a pezzi, a poco a poco, tutti gli aspetti di quella civiltà che i protagonisti reputano di avere: la tolleranza, la benevolenza, la ragionevolezza, la correttezza politica, l’onestà morale. Trionfa, con la sua oscura e primitiva potenza, il dio del massacro, che ci tiene in pugno dagli albori della nostra (in)civiltà.
Carnage supera brillantemente il limite che si potrebbe imputare al copione, rimanere in qualche modo imbrigliato nello stesso mondo borghese che vuole sgretolare e mettere alla berlina, e diventa qualcosa di meravigliosamente meno definito. Polanski non ha paura di scendere verso il basso con l’esposizione opprimente della quotidianità. Usa gli spazi in modo claustrofobico, come sempre nel suo cinema, e ingabbia volutamente i suoi ottimi interpreti. Con i continui riflessi di specchi, vana e consapevole ricerca di una via di scampo almeno per l’immagine, ci fa vedere che la fuga dalle quattro mura è impossibile. E ci fornisce una lente deformata con cui guardarci dentro. La piccolezza umana resta, così, imprigionata in un’inquadratura emblematica proprio perché una delle poche esterne, quella di un criceto che guarda in macchina.