Non essere visti, rimanere in silenzio al margine della vita degli altri con la sensazione di non esistere, di non poter incidere su una realtà che procede indifferente e inafferrabile e che non sembra dispensare affetto e cura, ma solo un dolore dopo l’altro, ineluttabilmente: è questa una condizione umana universale, da cui ognuno si riscatta come può, ma nessuno riesce davvero a sfuggire definitivamente.
E’ così che un adolescente cresciuto in una famiglia difficile, segnata dalla malattia mentale e fisica, si innamora di una badante polacca, unica figura della casa che resti per lui calda e presente. La prima delusione amorosa si fa scoperta improvvisa e cocente di quanto sia difficile comunicare con il prossimo, essere visti per ciò che si è. Una sensibilità esasperata e un’età evolutiva di per sé esposta ai tormenti esistenziali rendono tale scoperta una ferita troppo profonda, che richiede un’immediata via di fuga dalla realtà.
Al limite estremo del vivere osservando, chiusi in una bolla intangibile, c’è l’uomo invisibile, supereroe ineffabile, che può transitare nella frenetica vita quotidiana senza esserne intaccato, senza che nessuno si accorga della sua presenza. Può entrare nelle case degli altri, usurparne il posto nel letto o sul divano, spostarne gli oggetti per un gioco innocente e diversivo. Può avvicinarsi alla gente, osservarla da un palmo di distanza, spiarne le lacrime o la bellezza.
Non riesce, invece, a toccarla o ad esserne toccato; non può alterare il corso degli eventi, per una riserva morale di inadeguatezza, ma anche perché ogni interferenza potrebbe portare a effetti imprevedibili e forse nefasti. L’uomo invisibile decide di essere elegante e curato, nonostante il fatto che nessun altro si curi di lui; si ritrova a fare i conti con il tempo che passa, senza un lavoro quotidiano o un imprevisto che ne scandiscano il ritmo.
Due vicende esistenziali apparentemente così diverse fra loro si svelano, in una convergenza temporale di racconti alternati, che dal passato e dal senza-tempo si incontrano in un istante presente di disperata e identica solitudine.
Essere invisibili può diventare una scelta consapevole e sembrare di primo acchito un ottimo rifugio, un punto di vista privilegiato per guardare il mondo senza pregiudizi e condizionamenti, al riparo dalla sofferenza. Esistere fra gli uomini e accettarne la trascendentale indifferenza resta, tuttavia, l’unico modo per sentirsi vivi.
Il testo di Francesca Staasch è ammirevole sia per la definizione dei personaggi, per la finezza, la fantasia e la gradualità dello svilupparsi dei monologhi, sia per la struttura narrativa a incastro, coerente ed efficace.
La regia, dell’autrice stessa, ha la peculiarità di svilupparsi su due piani interagenti, quello dell’azione scenica e quello di filmati che integrano per immagini il racconto. Le scene di vita proiettate sul fondo rendono tangibile la condizione esistenziale dell’uomo invisibile, che, da una dimensione di isolamento, segue con ingordigia le attività degli umani, il salire le scale di una donna, l’andirivieni dei passanti in una strada, la frenesia dei lavoratori all’opera.
Lino Guanciale interpreta, in un’alternanza rocambolesca, sia l’adolescente tormentato, sia l’uomo invisibile: due caratteri diversi, variegati e sfaccettati, che cedono il passo l’uno all’altro sempre più repentinamente e finiscono per contaminarsi a vicenda sul finale, quando la storia richiede che arrivino a toccarsi. Con grande precisione, l’attore sa fornire al pubblico tutti gli elementi di svolta drammaturgica e i percorsi di trasformazione dei due caratteri, coinvolgendolo in un viaggio onirico e universale, con evidente partecipazione ed empatia umana.
IL DOLCE MONDO VUOTO
Testo e regia Francesca Staasch
Con Lino Guanciale
Produzione Skin Trade
Teatro Argot Studio, 19-23 dicembre 2011