La personalità e il particolare fanno lo stile.
L’eleganza e la trasparenza del museo dell’Ara Pacis ospitano, per il cinquantesimo anniversario di Colazione da Tiffany, un inedito ritratto della vita di una donna che fu il simbolo di altrettanta eleganza e quasi innocente trasparenza: Audrey Hepburn.
La mostra, curata personalmente dal figlio Luca Dotti, segue un passeggio cronologico ricco di date, immagini, video, oggetti ed abiti della vita personale della diva; un itinerario portato avanti con il capriccioso mondo di una moda di cui ella divenne icona ed appassionata precorritrice. Gigantografie in bianco e nero ricoprono le pareti di un intimo spazio ricavato per accogliere una bacheca con i suoi documenti, un termos della Louis Vuitton e per raffigurare l’attrice a Roma, città che l’aveva adottata. Flash di vita quotidiana immortalano Audrey, rigorosamente in foulard, mentre fa la spesa nelle pizzicherie del centro di Roma ed un filmino ci immerge nella sua intima vita familiare – la sua preferita -, arrivando, “indiscreto”, perfino a immortalarla, vestita in abito rosa, nel giorno del suo matrimonio con Andrea Dotti.
Il percorso tracciato parte dagli anni ‘50, gli anni d’oro della diva, in cui ebbe inizio il sodalizio lungo una vita con Hubert de Givenchy; passarci in mezzo è come respirare il fervore giovanile di quel periodo così vividamente descritto.
Gli scatti, quasi inediti, ce la mostrano in tutta la sua semplicità ed innocenza sul set di Vacanze romane, film di cui è testimone la lambretta esposta nella mostra e che Audrey cavalcava in compagnia di Gregory Peck. Altri scatti ce la mostrano in Sabrina, dove si contraddistingue per il famoso scollo che nasconde le spigolisità del suo petto così in contrasto con le maggiorate dell’epoca, in Guerra e pace e Storia di una monaca, film del quale la mostra ci offre anche lo scatto della prima in cui la Hepburn è vestita con un abito lucido di seta mikado e sgombra di qualsiasi gioiello vistoso. Camminando ancora, si fa un tuffo negli anni ’60, periodo in cui Audrey continua a distinguersi dalle mode del tempo, che esprimevano forte ribellione ed eccentricità.
Sono però i particolari a renderla unica nel suo stile sobrio e mai provocante: dalla borsa cestino che la accompagnava ovunque e che a volte conteneva il suo piccolo yorkshire Famous, al capriccio del foulard utilizzato da tutte le dive per non rovinare i capelli e indossato, in particolare da lei, come immancabile vezzo, segno distintivo di un’India lontana o di una particolare griffe. E’ inoltre l’anno del must Colazione da Tiffany, delle sopracciglia ad ala di gabbiano, sapientemente costruite per seguire la linea della mascella e ingrandire l’occhio, a sua detta piccolo e sempre coperto dal grande occhiale scuro da seduttrice intellettuale e misteriosa al tempo stesso.
E’ l’anno del famoso tubino nero accompagnato da una cascata di perle sul collo, del guanto nero da opera e del diadema che raccoglie un fascio di capelli appena dorati da fezze di méches. E’ la donna dal look androgino, umile ed introversa, paradossalmente stuzzicante, con blusa larga, pantalone sopra la caviglia e mocassino “a metà tra preppy americano e la gamine francese”, espressione di una femminilità indipendente, sicura di sé e pronta a qualunque occasione, pur non rinunciando mai alla sua eleganza. Gli anni ’70 sono gli anni dello sbocciare del made in Italy, dello stile etnico e hippy, testimoniati dall’incantevole vestito rosa pesca a balze, lungo fino ai piedi, che accompagnava con accessori provenienti da molto lontano. In questi ultimi anni della sua vita, infatti, Audrey diventò ambasciatrice dell’Unicef, mostrando le condizioni dei bambini malnutriti dei paesei più poveri del mondo. L’integrazione del biglietto della mostra sarà devoluto interamente all’Unicef per combattere la piaga della malnutrizione.
AUDREY A ROMA
Curatori Luca Dotti, con Ludovica Damiani, Sciascia Gambaccini, Guido Torlonia e la consulenza di Sava Bisazza Terracini
Immagini dagli archivi di Reporters Associati, Photomasi, Istituto Luce, Kobal Collection, Unicef
Dal 26 ottobre al 4 dicembre 2011, Museo dell’ Ara Pacis di Roma