CANTO PER VERSO
dal testo “Non ho che queste mani” di Angela C. Muscogiuri e frammenti da “Il Marinaio” di Fernando Pessoa
Regia e Spazio Rosi Giordano
Era Francesca Emilia Papale
Canto Poetico Germana Flamini
Percussioni e Voce Giulia Bornacin
Composizioni poetico musicali Angela C. Muscogiuri
Assistente alla regia Maria Enrica Prignani
17 e 18 marzo 2012, Teatro Argot Studio, Roma
Il limite che separa la vita dalla morte è sottile, fragile, facile da strappare, come il telo bianco che divide la scena e su cui, gradualmente, lentamente, si affollano disegni in bianco e nero di esseri umani, tutti diversi, che esistono per un attimo, sono esistiti, presto non esisteranno più. Una folla di individui che cresce, che si addensa all’inverosimile, fino ad occupare l’intero spazio bianco disponibile, in un ammasso claustrofobico. Scompariranno, solo alla fine, in una nebulosa grigia e indistinta, in un dubbio, in un sospetto di illusione ottica.
Dietro al telo, due donne (Germana Flamini e Giulia Bornacin) si intravedono in trasparenza; di fronte ad esso, ben visibile al pubblico, una terza, Era (Francesca E. Papale), ostenta vezzosamente il proprio estremo pallore, che allude a una condizione ultraterrena di sospensione tra essere e non essere. La terza donna non riesce più a sentire la propria voce e ne resta profondamente turbata. Qualcosa è successo, qualcosa l’ha sradicata dalla solita, materiale, tangibile realtà. Non può dirsi triste della propria attuale condizione, ma nemmeno felice: appare invece sospesa, stranamente inespressiva, slegata, in una gestualità e in un’espressività facciale che, più che azione, sembrano costruire una pantomima simbolica.
Era non rinuncia tuttavia a parlare, non può sopprimere il desiderio di restare aggrappata a una forma tanto umana e vitale di autoespressione, quale la narrazione, che crea immagini e quindi vita. Sebbene isolata dal resto del mondo e inascoltata, la voce di Era raccoglie echi diversi, produce richiami evocativi, che le due donne dietro al telo raccolgono e trasformano, a volte, in altre parole, ricordi, racconti, a volte in pure vocalità, ritmi, suoni di percussioni. Le voci delle tre donne si intrecciano in un complesso arazzo, intessuto di frammenti di storie e di pensieri, di ricordi e di libere associazioni, di fantasie.
Era racconta di un marinaio naufrago, che immagina una realtà fittizia, fortemente desiderata, fino a ricreare perfino, reinventandolo di sana pianta, tutto il proprio passato (brani tratti dal testo “Il Marinaio” di Fernando Pessoa). Risponde da dietro al telo, che man mano si infittisce di personaggi, il canto poetico delle altre due donne (su testo di A. C. Muscogiuri, con interpretazione di Germana Flamini, percussioni e vocalismi di Giulia Bornacin).
Le due donne nascoste, appena percepibili visivamente, sono forse più vive e presenti, con le loro voci e la loro musica, di quanto non sia il personaggio in primo piano, che invece il pubblico potrebbe quasi toccare, se solo allungasse una mano. La realtà e la percezione, l’immaginazione e la suggestione, sono sfaccettature di un’unica condizione illusoria, quella dell’essere vivi, alla quale tutti restiamo aggrappati senza alcuna speranza di poterla finalmente afferrare.