4:48 PSYCHOSIS
di Sarah Kane traduzione Barbara Nativi regia Valentina Calvani con Elena Arvigo luci Chamo Delle Monache musiche Susanna Stivali22 e 23 luglio 2012
Fontanone del Gianicolo – Roma
«La lucidità si trova nel centro di convulsione, lì dove la follia viene consumata dall’anima spaccata in due». All’interno di una buia sala da banchetto, convivono una coscienza antica e una mente acuta: queste, la sede e le cause della fenomenologia di una psicosi. Il pavimento è coperto di terra e vetri rotti; che fine ha fatto il magnifico giardino della Fontana dell’acqua Paola al Gianicolo? Roma scompare. Con 4:48 Psychosis entriamo nella sofferenza di Sarah Kane.
Alle ore 4:48 giungerà la disperazione ad attanagliare la protagonista. È l’ora del suicidio, del silenzio, del sonno. «Alle 4 e 48 è l’ora felice in cui la lucidità mi fa visita»; la scena non è un’abitazione, né un manicomio: è la recondita dimensione della mente in cui la follia si esplicita. Sarah Kane ha scritto questo lungo monologo nel 1999, prima di uccidersi. L’opera non contiene indicazioni di rappresentazione; è piuttosto il resoconto di un disordine mentale: libera interpretazione. C’è solo una donna che affoga nell’assenza, al lugubre ritmo della follia. Tutto le è stato rivelato una notte, in un incubo: la solitudine, l’amore dissanguato, la rabbia, il desiderio devastante per una persona che non c’è, il fantasma maligno della morale comune.
Per questo catalogo della depressione, la regista Valentina Calvani ha saputo scegliere una colonna sonora incalzante, e un disegno luci quanto mai appropriato. In scena si scorgono delle carte da gioco, un paio di sedie di plastica, un contenitore girevole per palline da ping pong che sembra riassumere la frenesia di un’angoscia congenita e incurabile, una scala a pioli, funesto presagio della disfatta.
Talento indiscusso della messinscena è l’attrice che dà corpo, voce e anima ad un personaggio senza nome: Elena Arvigo. Guarda il suo pubblico negli occhi, provoca e rapisce: ha uno sguardo affranto, tenero, supplicante, consapevole. Il suo corpo è presente nel disagio e nella destrutturazione. Con un realismo sconvolgente e tragico, si insinua nella psicosi con autenticità. Come nei drammi di Cechov, non accade niente in scena, eppure questa giovane attrice riesce a compiere tutto: «ogni atto è un simbolo il cui peso mi schiaccia». Elena Arvigo ha indubbiamente giustificato ogni unità d’azione mentale, delineando perfettamente un crollo nervoso imminente.
4:48 Psychosis è un spettacolo potente, che ammutolisce. È un testo che urla e denuda una malattia che cresce nelle pieghe della mente. È il grido di un’autrice che raramente ha ottenuto approvazione in vita, e che lentamente viene oggi conosciuta e amata grazie a ciò che l’ha distrutta.