La giustizia è un vento: un vento impietoso che porta via tutto e tutti, che cancella ogni traccia sul cammino della pietà, ogni barlume di carità, ogni speranza. E’ proprio un ventoso venerdì mattina che priverà Aldo Bianzino, artigiano umile e pacifista, di ogni certezza, di ogni diritto.
La giustizia stigmatizzata dal regista, Riccardo de Torrebruna, è quella che mette le manette alla dignità, alla comprensione, alla tutela dell’umana integrità. Questo tipo di giustizia familiarizza con la violenza e parla un linguaggio di morte. E’ quella che riesce a trasformare il sognante scenario agreste delle verdeggianti colline umbre in un incubo; che calpesta con pesanti stivali da poliziotto l’esistenza di un individuo, devastandone cinicamente le proprietà, usurpandone l’intimità, violentando le conquiste di una vita. Il capo d’imputazione, coltivazione illegale di marijuana, spalanca al Bianzino le porte del carcere di Capanne, a Perugia, facendolo sprofondare in un abisso senza ritorno.
Su una scena ridotta all’essenziale, in cui dominano i toni del grigio in tutte le sue gradazioni (il grigio dell’angoscia, quello più cupo della paura o le cineree sfumature dell’ansia) fino al buio totale (il nero della morte), si alternano i testimoni di questa oscura vicenda giudiziaria. Ognuno di loro incarna un drammatico tassello di questa sordida storia.
Stralci di racconti, spesso ripresi fedelmente dagli agghiaccianti documenti del processo, aiutano lo spettatore a ricostruire l’accaduto, commuovendolo e scandalizzandolo al contempo. Si tratta di flash, come di memoria, che illuminano i corpi composti e rispettosi dei validi attori, che non fanno alcuna concessione agli eccessi, perché eccessiva è già la parola, la realtà. La loro performance, profonda ed efficace, colpisce come spada affilata, generando sentimenti contrastanti: di timore per la sorte dell’imputato; di rabbia per il suo decesso misterioso e per un’inchiesta insabbiata da capriole di senso; di compassione per il suo corpo martoriato, nudo, oltraggiato. Il corpo di un agnello al macello, innocente, incapace di difendersi. Di un povero Cristo inchiodato sulla croce dell’ingiusta giustizia.
Stessa sorte di interiore vilipendio, di sovrumano strazio, toccherà a Diana Blefari, terrorista implicata nell’omicidio di Biagi, affetta da patologie psichiche. Si sente sola contra tutti. Nulla servirà a farle revocare il 41 bis: fine pena mai. In effetti, non finirà mai il suo supplizio interiore, il combattimento contro le allucinazioni, la schizofrenia, gli spettri multiformi, i deliri persecutori che si faranno talmente insopportabili da portarla al suicidio.
Entrambi colpevoli, i carcerati si trovano repentinamente a giocare il ruolo devastante di vittime. Vittime dello Stato e di una società indifferente.
Riccardo de Torrebruna compie un atto di temerarietà, cercando di risvegliare le coscienze attraverso un intelligente teatro di denuncia sociale. Anche lui abile interprete, si fa portavoce e sostenitore di una giustizia libera, onesta e coraggiosa attraverso una compagnia che merita un sentito plauso.
In una società civile, non si può morire di carcere.
LA GIUSTIZIA E’ UN VENTO – Storia di morte nelle prigioni italiane
Ispirato al libro Impiccati di Luca Cardinalini
Regia Riccardo de Torrebruna
Con Riccardo de Torrebruna, Claudio Cicchinelli, Fanny Cerri, Marina Gimelli, Alessandra Giorgetti, Giusi Cicciò, Giammaria Cauteruccio, Gabriele Santi
Disegno luci Daniele Gratissi
Dall’8 al 12 febbraio 2012
Teatro Spazio Uno – Roma
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Cara Paola, ti ringrazio per la passione del tuo articolo e per l’adesione all’idea che è alla base di questo spettacolo. Ti terrò aggiornata sui miei prossimi lavori, visto che sto elaborando un progetto dal titolo Frontiera Donna di cui parleremo. Grazie per la cura e la sensibilità.
Riccardo de T.
Gentile Riccardo, è stato un onore per me poter dare un contributo, seppur modesto, alla promozione di questo lavoro teatrale di rara profondità. Rimango volentieri a disposizione per i futuri progetti e rinnovo i miei complimenti a tutta la compagnia per l’impeccabile ed emozionante interpretazione. Grazie di tutto. Paola M.
Itaka, Itaka, ITAKAAA! Che nostalgia! (un ritorno doloroso…) Chissà quanti .. sono ancora in attesa di ritrovare e ritornare alla propria Itaka!. Alcuni,.. lungo questo lungo viaggio, hanno dato e perso la vita. E, non occorre certo ricordare un inedito film di bergman: “La Prigione”, per conoscere Lo stato delle Cose. A quanto pare il sacrificio, continua ad essere il fondamento ultimo della storia umana, la sua “risorsa segreta”. Il sacrificio è tale ed è tanto più efficace, quanto più la vittima è completamente passiva, paziente. Gli antichi appunto, non ignoravano il fatto, che ogni città si regge sull’abisso ovvero, il sacrificio di sangue, nonchè il CaoS! Farmakos dunque, che libera e purifica tutto.Così è il sangue.
“Ma.. Il sangue porta sangue, chiama altro sangue, condanne e riti, una sfilata di morti… perché il sangue ha sete”. – IL sangue morto ha sete -/ scriveva la Zambrano/ – ed io ho versato acqua, tutta quella che ho potuto per calmare la sua sete – (la tomba di Antigone).
e.. ALLORA CHE SI FA?… di fronte alla dilagante indifferenza, al cinismo ed opportunismo spietato, l’arte (ci) Salverà? riTornano sempre Cassandra, Antigone, Ipazia, Filottete, Elettra, Euri.dice … e via dicendo.. con le tragedie classiche e non solo.. Basti pensare al Caso Socrate, oppure a “coloro”, donne e uomini, che militando per la Verità e la giustizia, sono stati bruciati vivi nel medioevo!
Ho come l’impressione che ci siano “Morti viventi” e, Vivi.., resi e arresi alla/e Morte/i. Una pericolosa inversione di ruoli. Una morte ingiusta (posto che, morire per mano altrui è comunque, un omicidio) è come lasciare insepolto un cadavere, ovvero lasciarlo in pasto alle fiere come appunto nella nota tragedia di Antigone. La morte diventa così sopravvivenza organica per i vermi e gli avvoltoi, finchè “sconsacrata”. Contemporaneamente, altre Vite, vengono convertite in “Morte vivente” ovvero, costrette (in carcere ..) a Morire. Costrette a “vivere da Morte”… come Sepolte Vive.
APPUNTO: A SECONDA DI COME GIRA IL VENTO.
“La verità di quel che accade nel seno nascosto del tempo, è il silenzio delle vite, e che non si può dire”. (…).
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