Tango: geometria di corpi, rispondenza delle parti, simmetrie, equilibri, intrecci di fisici sensuali. Inizia con movimenti ben misurati la danza del dolore. La coreografia, in apertura di scena, contestualizza e anticipa la necessità di rispettare esattamente la sequenza dei movimenti. Per capire, per esorcizzare, per ricominciare a vivere.
La precisione maniacale con cui Antonio Serrano descrive la geometria del corpo, dettagliatamente studiata, scientificamente calibrata, lascia intuire all’istante la presenza un’ossessione scaturita da una lacerante sofferenza. Ricostruire, questa è la parola d’ordine; ripercorrere a ritroso il tempo, quel momento da cui tutto è cominciato. Tre elementi: il padre, la moglie Annamaria, la figlia Adriana. Ognuno occupa la propria posizione nello spazio; ognuno ha la propria collocazione nella storia. Sabato, 3 e 1/2 di pomeriggio.
Tra angoli retti e acuti, sguardi che non si incrociano più, orecchie tappate dall’auricolare, salti ormai ridotti a noiose immobilità, spalle volte contro l’altra metà, passa l’incomunicabilità di una coppia un tempo felice.
4 e ½: suona il campanello. Non bisogna fidarsi dalle apparenze. L’eleganza, la ricercatezza possono racchiudere in sé l’orrore più impensabile. Un gesto deciso, ma rallentato da una sequenza in slow-motion, rompe gli equilibri. Nulla sarà più come prima.
Il padre, nella figura della sorella, la talentuosa Gianna Paola Scaffidi, trova un unico, lucido interlocutore. E’ il suo alter-ego sano, lo specchio della sua pazzia. Ripetendo, come una macchina in cortocircuito, concetti a volte banali o ricordi di quella mostruosa successione di gesti, cerca di esorcizzare il non-senso che lo travolge, straziato dentro lo sterno, dentro le costole. Ti voglio bene, papà. Addio, papà. La sua immaginazione procede come una moviola difettosa, mentre Annamaria sta impazzendo, isolata.
Non bisogna fidarsi delle apparenze, ripeto. Anche il medico, emblema dell’uomo buono, il genitore disperato, ha i suoi lati oscuri. Dal dubbio alla certezza il passo è celere. La democrazia, salvezza per il popolo, è una rovina per la sua famiglia. La connivenza non ripaga.
L’inquietudine si impossessa dello spettatore che, appropriandosi progressivamente della visione d’insieme, si indigna per gli orrori della storia.
Le cruente azioni dei ciechi esecutori di un regime dittatoriale senza scrupoli, assetato di sangue, sono le palesi testimonianze di una cattiveria per nulla teorica, astratta. Un’incredibile molteplicità di niños raptos sulla loro coscienza, tante urla disperate di giustizia, un mare di angoscia.
Un accenno commovente alla preghiera e arriva lei, un angelo al femminile. Elisa Bernardini, accompagnata dall’abile Paolo Camilli, è il sublime che prende corpo. I suoi movimenti aggraziati e leggiadri, la sua interpretazione profonda, trasfigurano il palco. Un concentrato di emozionante bravura. La coppia ci porta in una dimensione ultraterrena, dove non c’è più spazio per l’afflizione.
Tutti gli interpreti hanno dato un contributo davvero apprezzabile all’opera di Pavlovsky dimostrando, ognuno nel suo campo, una sensibilità di alto livello e una grande professionalità.
POTESTAD
di Eduardo Pavlovsky
Regia Antonio Serrano
con Antonio Serrano
e con la partecipazione di Gianna Paola Scaffidi, Elisa Bernardini, Paolo Camilli
Scene Antonio Serrano
Costumi Antonella D’Orsi Massimo
Produzione Compagnia Altrarte
Dal 17 al 22 aprile 2012
Casa delle Culture – Roma
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