Teatro India, RomaCompagnia Mk coreografia Michele Di Stefano con Philippe Barbut, Biagio Caravano, Marta Ciappina, Andrea Dionisi, Laura Scarpini musica BIGG, Riff Raff, Geir Jenssen, Mahmoud Ahmed disegno luci Roberto Cafaggini Compagnia Le Supplici ideazione e coreografia Fabrizio Favale interpreti Martin Angiuli, Daniele Bianco, Vincenzo Cappuccio, Martina Danieli Andrea Del Bianco, Fabrizio Favale, Francesco Leone, Stefano Roveda musiche e live electronics Daniela Cattivelli luci Tiziano Ruggia 20 giugno,
Il teatro di Roma, prima della pausa estiva, propone al Teatro India un’interessante rassegna di danza, una vetrina sulla giovane coreografia d’autore e su autori e nomi d’eccellenza del panorama della danza italiana.
Ad alternarsi sui due palchi del bellissimo teatro per la prima giornata di programmazione sono la compagnia Mk di Michele Di Stefano e la compagnia Le Supplici di Fabrizio Favale. Due modi molti distanti e differenti di intendere la danza, il contemporaneo in Italia. Accostati in una stessa serata hanno sicuramente garantito varietà e in alcuni casi perplessità.
Mk, affermata compagnia romana presente sul territorio dal 1999 magistralmente guidata dal suo fondatore Michele Di Stefano, ha mostrato con Impression d’Afrique il suo tipico linguaggio, maturato in anni di sperimentazioni e ricerca pura. Lo stilema del coreografo è ormai marcato a fuoco in ogni sua opera, ma grazie all’apporto di interpreti sapienti e autonomi nessuna opera è mai uguale all’altra. Il pretesto, il punto di partenza della creazione, è un testo letterario, in questo caso l’omonimo romanzo di Raymond Roussel. Tra richiami animaleschi, ironia sottile e pura energia, la performance si è alimentata di significati e immagini personali e surreali. Gli schemi corporei e muscolari, i giochi dinamici e ritmici hanno riempito la scena, lasciando un delicato sorriso e un po’ di sano smarrimento.
Di tutt’altra natura lo spettacolo delle Supplici di Fabrizio Favale. Ossidiana si presenta come un lavoro sull’incompiutezza delle forme e sulla continua trasformazione in natura di esse, ma regala invece al pubblico delle forme anche fin troppo definite. Dall’eleganza e dalla fluidità dei corpi in scena, interpreti tecnicamente ineccepibili, nasce una coreografia fin troppo circoscritta e risolta. Un quadro concluso e definitivo che limita le possibilità di comprensione e mura le vie per l’immaginazione. A fronte di espedienti musicali fin troppo abusati si è assistito ad una performance che ha stentato a decollare, riempita di totem dal significato oscuro e dalla dubbia collocazione. Ha pagato sicuramente l’accostamento all’esplosivo e denso spettacolo precedente.