Dall’ 8 al 17 febbraio, presso il Teatro dell’ Orologio, va in scena il primo movimento del progetto natura Antigone 2011-2013 della compagnia Ilaria Drago.
Antigone Pìetas Testo, Interpretazione e Regia: Ilaria Drago Scena: Mikulas Rachlik Musiche e sonorizzazioni: Marco Guidi Organizzazione: Katia CaselliDall’ 8 al 17 febbraio 2013 – Teatro dell’Orologio, Roma
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Questa Antigone Pìetas restituisce tutta la potenza d’una partitura scenica ferina e sospesa. Nel buio della grotta prende vita con intrepido coraggio eroico la Antigone di Ilaria Drago: sibilla, cantora, invocatrice ed evocatrice, sincera e cangiante.
La Drago è Antigone. Lo è nella modulazione costante d’ogni suo gesto al punto da privare la donna di qualsiasi accezione femminista o sessantottina per farsi carico di voci mute, strapparsi l’abito, trasformarsi in donna-guerriero e affrontare le potenze incombenti. La figlia di Edipo sfida il re Creonte con la sua intenzione di onorare la salma del fratello Polinice.
L’Antigone della Drago impaurisce e s’impaurisce, sgrana gli occhi alla perdita della luce per veicolare l’eco delle voci intonate dai suoi lamenti amorosi per la vita, per il fratello, per l’ancoraggio dei potenti. Lo fa nuda, mostrando tutta se stessa fino ad affermare la sacralità della donna in quanto essere vivente. Il confronto con una donna tragica portatrice dello stesso sentimento, la Cassandra eschilea, è evitato.
Una rivoluzione tragica che avviene nella non-luce punitiva di Creonte, in quel buio esistenziale che rimanda alla riflessione sulla fratellanza e sull’ amore universale. Un ditirambo spiazzante.
Questo ci chiede la scrittura scenica della compagnia di Ilario Drago: trovare il coraggio di urlare la pìetas inginocchiatrice che uccide il cuore fermo dei potenti.
Gli spasimi sonori di Marco Guidi fanno riecheggiare le parole di Sofocle, di Simone Weil, di Jonas.
Le memorie di Antigone, in un concerto live a più voci, trasfigurano il tempo. Ci ritroviamo a zoppicare in un città di macerie, creata a mo’ di patibolo da Mikulas Rachlick per la struttura di scena, chiusi nelle viscere d’una sepoltura vivente.