Domenica 17 marzo 2013, nell’ambito della sezione chiamata “In Russia”, presso La Casa Del Cinema di Roma è stato proiettato Thieves by law, un crudo ed immediato documentario sull’ultima generazione della mafia russa.
Thieves by law, di A. Gentelev, Ger/Isr/Spa 2010, 91′
Produzione: Sasha Klein, Simone Baumann, Alexander Gentelev, Maya Zinshtein, Friederike Freier
Musica: Andreas Moisa, Philipp Edward Kümpel
Montaggio: Alik Baskin, Martin Schröder
Interpreti: Vitali Dyomochka, Alimzhan Tokhtakhunov, Leonid Bilunov
E’ strano pensare che Thieves by law sia un documentario, a tratti lo si potrebbe scambiare quasi per un film dalle tinte grottesche. Il regista ci presenta l’ultima generazione della mafia russa: uomini ben curati dai tatuaggi eloquenti e le scarpe alla moda. Ricordano ridendo gli omicidi compiuti, ne mimano i gesti, raccontano di quando tagliavano la testa ad un senzatetto per impressionare un debitore reticente a pagare. Ormai sono signori di mezza età e ci mostrano i loro saloni pieni di opere d’arte dal valore inestimabile. Li vediamo incontrarsi per giocare a biliardo o fare la sauna, mentre con leggerezza ripercorrono le gesta della loro nobile carriera.
In Russia tutto inizia quasi sempre in carcere, luogo di perdizione assoluta, dove giovani criminali imparano presto le regole del Codice dei Ladri e conoscono i loro futuri compagni d’odissea. Una volta fuori inizia la scalata alle vette del potere sociale: uno stato parallelo costruito ammazzando senza pietà banchieri, politici, finanziatori. Scorrono immagini cruente di cadaveri assassinati, poi un attimo dopo si torna nella tenuta miliardaria di un boss russo, emigrato in Francia, secondo cui nel suo paese d’origine è del tutto normale annoverare membri della mafia tra le cariche statali. L’apoteosi del surreale si raggiunge quando uno dei protagonisti scoppia a ridere dicendo che quando smisero di uccidere fu perché non c’era più nessuno da ammazzare; dopo un po’ lo sentiamo dire alla figlia che è meglio non prendere i mezzi pubblici visto che gira l’influenza. Ancora, un ecclesiastico della chiesa ortodossa ringrazia un boss per le ingenti donazioni, specificando che per lui non conta la provenienza di quel denaro perché, come insegna il Vangelo: «la mano destra non deve sapere cosa fa la sinistra».
Sembra quasi di assistere ad una versione stravagante di Scarface ed in sala si ride spesso, se non fosse che la realtà è ben lungi dall’essere comica. Queste persone hanno avuto amicizie evidentemente potenti ed i loro sguardi sono glaciali. Maledicendo una palla non entrata in buca, ricordano fatti ignobili con il tono che si userebbe parlando del meteo, e la cosa peggiore è che trapela una disumanizzazione inevitabile risultante di un’assoluta mancanza di alternative. Ecco allora che uno di loro si scaglia contro la condanna morale che la società gli ha impresso nell’onore, ripetendo con veemenza di essere una brava persona. Questo tocco di inconsapevole ingenuità è terrorizzante.
Se lo scopo di Alexander Gentelev era destabilizzare lo spettatore, c’è assolutamente riuscito. Accostare il male più estremo con la quotidiana naturalezza dei comportamenti è la parte più inquietante dell’opera. Uscendo dalla sala si comincia a riflettere ed i sorrisi di stordimento che avevano accompagnato la visione adesso diventano ghigni, essi stessi un po’ macabri.