Alla Casa del Cinema di Roma è stato proiettato Interdizione Perpetua, un documentario – già protagonista del Festival Internazionale del Film di Roma – che mostra una Napoli tristemente attuale. Nei 71’ del racconto viene mostrata la problematica dello smaltimento dei rifiuti attraverso le storie dei «saponari» ovvero dei rigattieri, un tempo mestiere redditizio per le popolazioni indigenti e trasformato in reato dalle nuove leggi. Alla proiezione è seguito un incontro tra il regista e gli spettatori presenti all’evento.
Interdizione perpetua di Gaetano Di Vaio, Ita (2012), 71’.
Soggetto e sceneggiatura: Gaetano Di Vaio.
Montaggio: Alessandra Carchedi.
Musiche: Enzo Gragnaniello.
Produzione: Minerva Pictures, Figli del Bronx.
In Interdizione Perpetua si racconta una Napoli che non troveremo mai sulle cartoline. Niente mare, pizza, maschere di Pulcinella. Nessuna traccia di Castel dell’Ovo, via Caracciolo o dello Stadio San Paolo. Gaetano Di Vaio ha portato la macchina da presa in una città che sembra appartenere a quel “Terzo mondo” in cui spesso ubichiamo la povertà degli altri continenti.
Il documentario è stato girato nel 2011 quando la città era in ostaggio dei rifiuti. Il regista ha messo insieme una scia di ritratti che ruotano attorno ad una figura storica dei rioni popolari della città partenopea: il «saponaro», ovvero il rigattiere. Ovviamente abusivo. Prima dell’entrata in vigore delle nuove norme sullo smaltimento dei rifiuti – che sanzionano con l’arresto chi viene trovato a portar via rifiuti ferrosi dai cassonetti – quest’attività era anche piuttosto redditizia e stimata dalla comunità, nonostante si svolgesse in un limbo tra lecito ed illecito. Da quando però i saponari sono diventati fuorilegge, in molti hanno cambiato mestiere. I pochi rimasti, oltre che con il rischio del carcere, devono vedersela anche con un netto calo degli introiti che non permette più di mantenere le famiglie.
Interdizione perpetua è una raccolta di schegge di questa realtà, fatta di miseria e famelica arte d’arrangiarsi. Gaetano Di Vaio ha cercato di cogliere la quotidianità di queste esistenze, realizzando una serie di interviste informali, in cui lo sfogo dei saponari viene riversato direttamente nell’obbiettivo della videocamera. Si tratta di storie di povertà vera, quella del frigo vacant’ – frigorifero vuoto – e dei pacchi della Caritas consegnati a domicilio. Il regista si è mosso tra i vicoli di Scampia, i campi Rom, i quartieri più poveri di Napoli, e arrivando fino a Reggio Emilia per ritrovare un ex saponaro costretto ad emigrare per sopravvivere dopo l’entrata in vigore delle norme che proibivano il suo vecchio mestiere. Di tutte queste storie, quello che colpisce di più è il modo è il modo in cui i rigattieri, ricordando quasi un’età dell’oro, parlano degli anni in cui la loro attività non era ancora perseguita. Un’epoca in cui «fare il ferro», ovvero caricare un furgoncino con i rifiuti ferrosi presi dai cassonetti o raccolti porta a porta, era un mestiere da tramandare di padre in figlio, rivestito di un’importanza sociale non indifferente. Molti di loro si definiscono addirittura anticipatori della raccolta differenziata così come è stata studiata ai giorni nostri. Ora che la raccolta dei rifiuti è regolamentata, per i saponari sarebbe necessaria una licenza al costo di 30.000 €. Una cifra inarrivabile in una realtà come quella. La mancanza dello Stato si traduce così in una sorta di presuntuosa anarchia organizzata dove l’illegalità si trasforma in necessità.
Diventa così chiaro che l’interdizione perpetua che dà il titolo al documentario è riferita alla dignità della vita stessa da cui in troppi sono esclusi. In un luogo, Napoli, troppo vicino per fingere che sia lontano. I fotogrammi, scorrendo, si trasformano così in un monito, sporco e maleodorante come l’immondizia che sfigura uno dei capoluoghi della nostra nazione.