Interstellar, di C. Nolan, USA/UK 2014, 169′ Casa di Produzione: Warner Bros, Paramount Pictures, Syncopy Films, Legendary Pictures, Lynda Obst Productions Distribuzione: Warner Bros Italiain uscita nelle sale cinematografiche il 6 novembre
«L’amor che move il sole e l’altre stelle».
Non c’è dubbio che Interstellar sia un film diverso dalle opere precedenti di C. Nolan. Potremmo infatti definirlo un film emotivo poiché a farla da padrone è l’amore, una delle poche cose, secondo i protagonisti del film, non quantificabile scientificamente. Nolan insomma cerca di stupirci con il tentativo di convogliare nel suo cinema dell’effetto un cinema dell’affetto.
La magniloquenza delle immagini, anche attraverso il montaggio, è tenuta sempre sotto controllo dal regista che torchia lo sguardo dello spettatore saturando la sua immaginazione e il relativo sentimento del sublime con visioni del cosmo, figurazioni apocalittiche di altri mondi e il viaggio intergalattico della navicella spaziale. Un quadro architettonicamente maestoso, curato da Kip Thorne – esperto della Relatività generale e produttore esecutivo del film –, e che si propone come scientificamente valido. Ed è proprio qui che si concentra l’interesse per il film, ovvero la capacità del cinema di farsi carico non tanto della sua intrinseca verosimiglianza documentaristica, quanto piuttosto della creazione immaginifica e scientificamente valida.
In Interstellar c’è tanto del cinema sci-fi del passato. In particolare il riferimento è a tre film: Solaris di A. Tarkovskij, Contact di R. Zemeckis e 2001: A space Odissey di S. Kubrick. Di fronte al mistero dello sconosciuto, Nolan adotta però un punto completamente differente rispetto a Kubrick: nel suo film tutto è altamente controllato e spiegabile – anche in forma didascalica e difficile da seguire – e nulla viene lasciato all’irrisolto.
Tutto sembra razionalmente padroneggiabile. In una sorta di passaggio del testimone, la prima nota che ascoltiamo in Interstellar sembra essere l’ultima dell’Also sprach Zarathustra di Richard Strauss. La multidimensionalità onirica e a matrioska di Inception lascia spazio nel finale a un trip visivo in cui spazio e tempo si uniscono in un unicum. C’è infine nella forte relazione creata da Nolan tra il microcosmo familiare di Cooper e il macrocosmo galattico un riferimento al The Tree of Life di T. Malick. Tuttavia questo rapporto non comporta qui una domanda sull’esistenza, bensì una dichiarazione dirimente: la salvezza prima di tutto e a tutti costi. Nolan, onnisciente dietro la mdp, ci offre dunque la riproposizione di un antropocentrismo spinto e diviso tra l’encomiabile perfettibilità della conoscenza umana e i sentimenti più puri. Cuore, ragione e l’essere umano, privato purtroppo del suo costitutivo bisogno d’interrogazione.