Carmelo Chiaramonte, cuciniere errante, uno dei più creativi e conosciuti cuochi italiani all’estero, da parecchi anni si è dedicato a una cucina nomade, unendo gusti e sapori in giro per il mondo.
Autore e conduttore televisivo per il Gambero Rosso, ha già pubblicato libri di cucina, tra i quali A tutto tonno, e un libro che unisce filosofia e gusto dal titolo L’estetica del fungo, da cui nasce il proposito di quest’intervista dai toni onirici.
Come afferma Chiaramonte: «la fame può anche venire leggendo».
Foto in evidenza di Paolo Belluardo: Carmelo Chiaramonte con i fratelli Privitera a Zaferana Etnea, produttori di mele di montagna in estinzione.
Foto retro: dolce “Porcino di pistacchio, olio d’oliva e sale”. Ricetta e foto di Carmelo Chiaramonte.
Ludovica Marinucci: Com’è nata la passione per la cucina? Qual è stata la sua formazione?
Carmelo Chiaramonte: E’ venuto tutto dalla passione per il viaggio e il piacere di conoscere la gente e i luoghi, il cibo e la sua ricerca portano tante storie da ascoltare.
I primi passi sono partiti dalla Sicilia orientale, poi percorsi professionali che dagli anni ’90 mi hanno fatto odorare le cucine venete, quelle liguri, la svizzera d’alto rango e poi tanta ricerca all’indietro sulla passata cucina mediterranea, dal Marocco alla Spagna, fino al Portogallo, la Turchia e l’Egitto.
L. M.: Perché scrivere un libro che unisce filosofia e cucina? Com’è nata l’idea?
C. C.: In ogni cosa che facciamo, nel migliore dei casi, noi pensiamo. Ci portiamo dentro una musica e cerchiamo storie che abbiano un suono, delle parole e un buon profumo. Poi queste cose non ce la fanno a stare dentro la tua testa e le vuoi condividere. Così io e Tony abbiamo raccontato insieme la nostra passione per il bosco.
L. M.: Qual è la filosofia di un cuciniere errante?
C. C.: Un cuoco che viaggi deve possedere una vista laterale molto estesa. E’ necessario che non gli sfugga la campagna nella sua policromia verde e nemmeno certi alimenti nei mercati all’ombra. Lascia, quando può, che i suoi piatti accadano, piuttosto che decidere come o cosa cucinare. Segue cioè un percorso istintivo verso una cucina fatta con le mani.
Osserva la gente che riceverà il suo cibo e cerca di sorprenderla o accontentarla. Il Cuciniere con l’aria sotto le scarpe a volte si ferma e legge, scruta gli orti e le fattorie, quelle poche che ci sono in Italia. Segue la musica delle stagioni e racconta le storie che ha visto e annusato.
Se possiamo definirla filosofia il piacere del cuoco in movimento è quello di poter leggere una smorfia di sorriso tra le facce che stanno per finire la forchettata di un suo piatto sofferto e viaggiato.
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