Elvira Frosini è performer, autrice e regista. Lavora nel teatro, nella performing art e nella formazione.
Ha scritto, diretto e interpretato insieme a Daniele Timpano lo spettacolo Sì, l’ammore no, presentato anche al Festival Roma RIParte.
Pietro Dattola: L’arte, si sa, non è democratica e qui i comandanti in capo erano due e, forse, con idee anche molto diverse. Come avete impostato e sviluppato il lavoro a due?
Elvira Frosini: sì l’arte non è democratica e il teatro meno che mai… comunque lavorare insieme, io e Daniele Timpano, è stato invece divertente. E’ stato l’inizio della nostra collaborazione, il nostro primo lavoro insieme. Abbiamo in realtà coniugato i nostri due linguaggi, le nostre diverse modalità di lavoro, ma abbiam trovato moltissimi punti in comune: le nostre tematiche sono molto vicine, ci interessano gli stessi temi, visti con due sguardi e prospettive diverse. Il tema della morte, del corpo come costruzione politica e deposito di immaginari. I nostri due percorsi si son andati veramente fondendo in un insieme che ci sembrava soddisfacente. Io lavoro da sempre sul corpo inteso come detto sopra e nei miei lavori mi avvicino sempre di più ad una drammaturgia non solo scenica ma anche testuale, Daniele lavora da sempre su temi storici attraverso una drammaturgia densa e originale, ma il lavoro sul corpo è evidente. Insomma, due comandanti in capo, anche comicamente in lotta per il potere, ma in realtà con idee quasi sempre molto affini.. e poi c’è sempre l’ascolto.. e questo non è mancato. Da allora collaboriamo sempre di più, ognuno all’interno degli spettacoli dell’altro. E adesso stiamo iniziando a lavorare ad un nuovo spettacolo che faremo insieme. E questo non ci sembra poco…
P.D.: Al di là delle origini storiche, un’opera nasce da un’urgenza, più o meno cosciente. Qual era la vostra? Ed era la medesima in entrambi?
E.F.: Urgenza… urgenza.. sì certo l’urgenza c’era… ma come in molte cose, le vie son traverse e imprevedibili… quasi casualmente e quasi per gioco ci chiesero di fare una performance urbana in una bella rassegna a Sermoneta, e da là abbiam deciso che il tema era l’amore. Siam partiti così, e poi è venuta l’idea dello spettacolo. L’amore, visto che eravamo e siamo una coppia. Da là siam partiti credo più o meno con la medesima urgenza, quella di andare a vedere l’amore romantico, e il rapporto tra i sessi, che è un rapporto di potere, non bilanciato, direi.
P.D.: Che differenza c’è tra ammore e amore? Amore è assenza di stereotipi, o anch’esso ne è pieno, solo che sono in qualche modo più accettabili?
E.F.: Amore e ammore. Ma non c’è una differenza, nel senso che non c’è un “amore” esente da stereotipi. Ne siamo immersi, nutriti, imbevuti. Noi abbiam usato la parola ammore un po’ per gioco, un po’ per sdrammatizzare, un po’ per dire “non prendete troppo sul serio…”. L’amore, in realtà, è un fatto culturale, una costruzione e anche una idealizzazione. Non intendevamo parlare dell’amore in senso assoluto, se mai ne esiste uno, ma dell’amore così come è stato narrato, definito, tramandato e introiettato nella nostra cultura. E poi, ripeto, quello che ci interessava era andare a smascherare, dietro i cliché sull’amore, il tessuto di rapporti di potere, e anche di violenza, tra i sessi. E tutto questo lo abbiam fatto prendendo noi stessi, come coppia, come detonatore o laboratorio di analisi… coppia vera/finta nella realtà/finzione della scena.