Articolo di: Valeria Beggiato
Foto di: Sara Caroselli
La compagnia Biancofango ha partecipato al terzo incontro del progetto W.I.P. Scrivere in scena del 20 Marzo alla Libreria Assaggi. Francesca Macrì è regista della compagnia e scrive i testi insieme ad Andrea Trapani (attore). Biancofango è l’intreccio di competenze registiche e attoriali, un teatro d’attore in cui l’azione fisica e il corpo sono il punto di partenza per scrivere i testi di una drammaturgia che non resta semplicemente parola.
Valeria Beggiato: Durante l’incontro hai detto una frase che mi ha incuriosito: ‹‹Sono convinta che il teatro si faccia nella distanza, non nella vicinanza ››. Potresti chiarirmi meglio in che senso?
Francesca Macrì: Il nostro sforzo, la nostra fatica quotidiana, il nostro obiettivo è sempre stato quello di non fare uno spettacolo, ma di provare a fare teatro, attraverso uno spettacolo. Questa per noi è una differenza sostanziale ed è l’origine della frase che ti ha incuriosito. È necessaria la distanza tra te e un altro artista per capire meglio chi sei tu e qual è la tua urgenza, è necessaria la distanza dall’oggetto spettacolo fine a se stesso per poter fare arte ed è necessario accettare di vedere sfuocato e a distanza durante un processo artistico per potersi avvicinare alla commozione.
V.B.: Nell’incontro hai posto la questione della necessità di ripensare i ruoli del teatro, di quale ruolo debba avere l’attore e quale il regista. Anche al pubblico spetta un ruolo?
F.M.: Si e no. Credo che ogni individuo abbia il diritto di scegliere come relazionarsi – con competenza e su questo tema potremmo discutere a lungo, ma non è questa, credo, la circostanza – all’arte come spettatore. Qual è la sua maniera, quali sono le sue possibilità, cosa di se stesso è disposto a cedere nell’incontro con l’arte. L’autenticità, dell’offrirsi dell’artista e del ricevere – con tutte le sfumature del caso – del pubblico, rappresenta l’unico punto fermo da cui non è possibile prescindere. Tutto il resto può e deve essere in evoluzione.
V.B.: Per descrivere il ruolo del regista teatrale hai usato una metafora calcistica: «Il regista potrebbe essere l’allenatore». Anche sbirciando tra i vostri lavori sembra che il tema del calcio vi interessi in modo particolare. Trovi che calcio e teatro abbiano delle affinità?
F.M.: Assolutamente si. Il tema del calcio ci interessa molto, del calcio come atto sportivo e agonistico intendo. Ci appassiona la matematica tattica che ne sta alla base e senza la quale il calcio moderno non avrebbe più senso e l’estro di certi calciatori che contemporaneamente questa matematica la spiegano, la esaltano e la mettono in discussione, consentendole di crescere. E crediamo anche che tra il calcio e il teatro ci siano delle straordinarie affinità. Sono anni che portiamo avanti questo studio che è allo stesso tempo drammaturgico, scenico e fisico. In questo percorso, le competenze calcistiche e fisiche/fisiologiche di Andrea (Trapani) che oltre ad essere un attore è un eccellente trainer fanno e hanno fatto, nel corso del tempo, la differenza nella nostra personale indagine.
V.B.: C’è un artista o una corrente artistica che ti ha influenzato particolarmente nel tuo percorso?
F.M.: È impossibile rispondere no a questa domanda. Anche se poi credo che si cerchi sempre e in qualche modo di fuggire dagli artisti che si amano e che nel corso del tempo è grazie alla distanza che hai costruito a partire da loro che puoi crescere e maturare. Ma detto questo, ho amato moltissimo, e ha coinciso proprio con il mio inizio nel teatro, il primissimo Antonio Latella. Le sue trilogie – di Pasolini, di Genet, di Shakespeare – il suo pensiero su Testori, rimarranno per sempre fra i ricordi più preziosi che ho del teatro. Quell’energia, quando avevo vent’anni, mi spostava dalla sedia e mi costringeva ad una riflessione altra sul teatro. Insieme a lui e con sempre maggiore importanza nel corso del tempo, Danio Manfredini mi ha insegnato la differenza fra fare uno spettacolo e cercare, disperatamente, di fare teatro. E quella via che lui percorre con una luce straordinaria, è la stessa che, con grandissime differenze e contraddizioni ovviamente, cerchiamo di percorrere noi con la Biancofango.