Foto di Fabio Trifoni.
Il Teatro Palladium di Roma ospita le opere di Lucamaleonte, artista che coniuga la street art con la ricerca visiva sul mondo della scultura.
La sua mostra Archivio contemporaneo è una collezione che immobilizza lo stile classico per trasfigurarlo in linguaggio moderno.
Pensieri di Cartapesta ha intervistato l’artista su questo suo progetto.
Leggi qui la prima parte dell’intervista.
Marianna Di Pilla: Come, quando e perché ti sei avvicinato al mondo della street art, che è quella da cui vieni?
Lucamaleonte: Inizialmente la ricerca sullo stencil è stata data dalla necessità di fare cose in maniera seriale, farle velocemente e poterle fare con lo spray. Ha preso le mosse da questo, e poi è cambiata molto. Mi sono avvicinato al mondo della street art perché sono sempre stato interessato ai graffiti, ma l’ho sempre vissuto non da protagonista: qualche graffito l’ho fatto, ma non sono mai stato particolarmente bravo o capace di creare un mio stile e fare un mio discorso personale. Poi ho iniziato, intorno al 2000, a desiderare di mettere i miei disegni, o comunque quello che facevo in camera mia, all’esterno, utilizzando dunque il mezzo dei graffiti in modo diverso: non si trattava più di parlare attraverso la ricerca sulle lettere e sui caratteri, ma per immagini – perché a me interessava il fumetto e l’illustrazione. Volevo quindi portare tutto questo sulla strada e creare un nuovo tipo di dialogo con chi guarda.
M.D.P: Qual è il significato del tuo nome d’arte?
L: un gioco di parole formato dal mio nome, Luca, e dal nome di un animale, nato quando avevo sedici o diciassette anni, tra i banchi di scuola, e non me ne sono più staccato. Non ha un significato particolare, ma l’ho trasformato in firma come se Maleonte fosse il cognome.
M.D.P: Cos’è l’International Poster Art, di cui sei uno dei fondatori?
L: È stato un festival importante realizzato a Roma con Sten e Lex per tre anni di seguito, dal 2003 al 2006, che ha permesso di far conoscere e concepire cosa sono la poster art e la street art nel mondo. Consisteva nella presentazione di una mostra all’interno di uno spazio che al tempo era uno spazio occupato: ci facevamo spedire i poster dagli artisti e li attaccavamo alle pareti. Al momento è interrotto perché ci siamo divisi per proseguire ciascuno la sua strada produttiva personale, ma è stato un modo per dare respiro internazionale ad una città che ancora non conosceva assolutamente il mondo della street art; credo sia stata la prima mostra di street art a Roma realizzata con una certa dignità.
M.D.P: I tuoi lavori sono stati esposti anche all’estero. Che differenza c’è – se c’è – tra l’esporre a Roma ed esporre all’estero?
L: Io ho esposto in Europa un po’ dappertutto e in un paio di mostre negli Stati Uniti. C’è una differenza perché noi qui siamo abituati a vedere sempre un po’ le stesse cose, c’è una maniera un po’ fanciullesca di percepire la novità, con stupore, ma anche con chiusura. All’estero si è un po’ più aperti alle novità e in realtà si è anche già molto abituati a queste cose perché un movimento che all’estero è già vecchio di vent’anni, qui viene percepito come se fosse una novità. C’è più possibilità di dire quello che si vuole, più disponibilità di spazi di dialogo.