INTERVISTA A OMAR GALLIANI

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foto Omar Galliani, Omar, Roma, Amor, matita su tavola, 300×400, 2012. © Luca Trascinelli 2012,
Omar Galliani, Breve storia del tempo, 1999.

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1. Omar, Roma, Amor. Un titolo che è uno splendido ringraziamento a questa città. Giocando con l’anagramma, Lei ha visto, sentito, in questa mostra una mora, una sorta di debito artistico da estirpare nei confronti della Città Eterna?

Omar Galliani: Forse la mancanza! La distanza! Una geografia toccata piu’ volte con il desiderio di restarvi senza poi allontanarmi come ho sempre fatto in tanti viaggi a Roma! Ho sempre portato con me, tra le nebbie emiliane, quella luce troppo nitida che ti fa scoprire gli stessi miraggi che forse portava con se un altro emiliano romagnolo, Federico Fellini! Chi meglio di lui, pur non essendo romano, e’ entrato nello spirito e nelle seduzioni fatali di questa grande “signora”? Ho esposto piu’ volte a Roma dal 1979 quando, ancora ragazzo e studente all’accademia di belle arti, a Bologna iniziavo il mio percorso. Poi le gallerie, una in particolare quella di Cleto Polcina in piazza Mignanelli. Lui mi diceva sempre di restare e lavorare a Roma e che per me la strada sarebbe stata meno in salita. Lui mori’ giovane e io continuai a venire a Roma rifiutando sempre di far mostre. Forse mi mancava la nebbia o quella sensazione distante che da, ai piani e ai volti, lo stesso mistero del volto di “lei” nel film di un altro emiliano, Michelangelo Antonioni, Identificazione di una donna. Eppure Roma e’ sempre stata anche la signora del cinema e di tanti inviti fatali in quel teatro della vita di cui e’ sempre stata nella sua millenaria storia protagonista assoluta. Avevo quindi un debito nascosto per non aver mai fatto un opera importante a Roma e per tutte le cose importanti che lì avevo sentito, vissuto… Sempre di corsa!

2. L’anacronismo è un termine che in italiano, nel linguaggio comune, sembra assumere una connotazione dispregiativa. Tuttavia lo storico dell’arte, o meglio antropologo delle immagini Aby Warburg vedeva nell’anacronismo un ritorno delle immagini alla vita, una loro risignificazione a livello concettuale e, perché no, materiale.

Lei si sente, nella raffigurazione, controcorrente -e che all’occhio del non esperto potrebbe sembrare “semplicemente” e, in maniera errata, realista-, di volti di donne estremamente sensuali (Nuove anatomie 2001, Mantra 2003), di corpi di persone quasi svelati nella loro nudità (La principessa Liu-Jo nel quindicesimo anno di età 2008, S-velare Giovanni 2011) un anacronista dei tempi passati?

O. G.: La definizione corrente di “anacronismo” secondo Wikipedia o altri dizionari cartacei è quella di un “fuori tempo” o “senza tempo”. Non credo alle definizioni assolute, ma piuttosto alle possibilità differenti che ogni epoca lascia del proprio tempo. Le crisi storiche dell’uomo e della sua storia hanno portato spesso ad una inversione di tendenza o alla ripresa di certezze dal passato per poi traghettarle nel futuro. Non fa differenza la nostra epoca funestata da crisi economiche che mettono in discussione le certezze che sembravano per tutti acquisite. Non credo in un tempo orizzontale, bensì in uno verticale capace di guardare il futuro mantenendo vive le costanti simboliche e mitiche di sempre. Il femminile o il maschile e meglio ancora l’androgino rappresentano canoni di una bellezza spesso contraddittoria o almeno non fine a se stessa; nelle Nuove Anatomie credo sia molto evidente, così come nella Principessa Liu Yi o in Breve Storia del Tempo… Omar/Roma/Amor è la metafora di un Eros/Ghenos/Thanatos che affonda nelle radici culturali e religiose di Roma.

3. Nelle sue opere sono spesso ritratte donne bellissime, con sguardi seducenti, a volte angelici, a volte mistici. Quale motivazione c’è dietro alla sua scelta? Sente nello sguardo, nel corpo femminile una esemplarità, una capacità unica di mettere in moto la sua creatività artistica? Se sì, lo sguardo femminile potrebbe intendersi, nelle sue opere, come quel “mezzo” attraverso il quale accedere ad un mondo intangibile alla sensazione e di cui, tuttavia, quest’ultima è unica fonte di accesso? (Mi riferisco alle Nuove anatomie 2011, in cui la trascendentalità dello sguardo, quasi meditativo, sembra essere “scongiurata” da alcuni segni, calcati, di pastello rosso sul collo, quasi a voler ricordare la carnalità muscolare del momento).

O. G.: Nelle Nuove Anatomie si assiste ad una palese messa in scena del concetto di bellezza ferita, oltraggiata. Nonostante questo, sul volto dei soggetti non si rivela dolore, ma la consapevolezza della ferita. Il volto femminile, il corpo si incarna nell’identificazione dell’origine della vita nella sua circolarità, quindi in rapporto anche con il suo contrario, la morte. Nell’attimo di uno sguardo si possono individuare moltitudini di significati che vanno al di là di un semplice ritratto. Non penso mai ai miei soggetti come “soggetti femminili” soltanto, ma a complessità ben più estese.

4. Infine, una domanda che sembra suonare quasi come una curiosità: si sente affine a qualche pensiero filosofico?

O.G.: Potrei citarti Emil Cioran o Fernando Pessoa, due letture che porto sempre con me. In uno assistiamo alla deflagrante consapevolezza dell’inutilità del tutto, salvo credere poi nell’opera come unica misura di salvezza per cui valga ancora la pena esistere. Nell’altro mi affascina la complessita’ della visione, lo sdoppiamento, l’essere ora e altrove, ossessionati dalla ricerca di una identità vacante. Il tema dei miei siamesi credo abbia a che fare anche con lui. In valigia ho sempre una sua opera non finita il Faust. Non so se questo possa indicare una corrente filosofica o meno.

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Autore

Lorenzo Cascelli

Ho conseguito la Laurea Magistrale in Estetica nel 2012 con una tesi su "The Tree of Life" di T. Malick e "Melancholia" di L. von Trier presso il dipartimento di Filosofia dell'università "La Sapienza" di Roma. Caporedattore prima di Arte e Libri e poi di Cinema presso Pensieri di Cartapesta, da Aprile 2014 sono direttore editoriale di Nucleo Artzine.

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