INTERVISTA A ROBERTA NICOLAI

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Regista teatrale e autrice, Roberta Nicolai ha fondato nel 2001 Triangolo scaleno teatro, con cui ha realizzato diversi spettacoli. Compie un’intensa attività di realizzazione di eventi e progetti culturali, tra cui si segnala la direzione artistica di OFFIcINA dal 2008 al 2011 e,  nel maggio 2012, della sesta edizione di Teatri di Vetro.

Attualmente sta lavorando alla settima edizione della rassegna e al Trittico dello spaesamento, un progetto pluriennale che prende avvio da testi filosofici di Giorgio Agamben.

Nel 2011 vince il premio Kilowatt-Ubulibri come migliore giovane curatore della scena contemporanea «per la qualità del proprio lavoro e per la forza della propria proposta artistica».

Francesca Pentassuglio: Teatri di Vetro si presenta «come luogo di ricezione, visibilità e sostegno delle realtà e dei progetti più interessanti della scena contemporanea nazionale, soprattutto di nuova generazione». Quale ritiene sia il ruolo della rete in progetti artistici che, come Teatri di Vetro, danno spazio e visibilità anche e soprattutto a voci emergenti? Medium privilegiato di diffusione di progetti sperimentali altrimenti “sotterranei” o vettore di rischi di sovra-esposizione, con dispositivi come You Tube?

Roberta Nicolai: Al momento la rete è lo strumento attraverso il quale la scena, la più giovane in particolare, trasmette informazioni, veicola le sue opere, le rende visibili a distanza di tempo e di spazio lasciando una traccia della propria esistenza. Io stessa seleziono gran parte dei lavori attraverso video, sempre più spesso caricati nel web. Negli anni ho imparato a guardare e a percepire lo scarto, a volte enorme, tra lo spettacolo e la sua riproduzione. Il medium a volte è del tutto incompatibile e incoerente rispetto all’azione in scena. TDV ad oggi usa la rete come il principale strumento di comunicazione. Ma anche qui c’è una distanza e su come rendere tutto ciò organico con l’evento, ci ragioniamo continuamente.

F.P.: In che toni descriverebbe lo stato dell’arte in cui versa la cultura, e quella teatrale in particolare, in termini di sostegno ed investimenti pubblici? Quali sono le “urgenze” che, in questo settore, a suo avviso un’adeguata politica culturale dovrebbe prendere in carico? Trova possibile, in questo quadro, “ripartire dalla cultura”?

R.N.: Un paradosso. Nonostante la totale mancanza di progettazione degli interventi pubblici, le lunghe e ripetute stagioni di tagli e il sostanziale sbarramento in ruoli di potere, basta guardare alla ricchezza delle progettualità artistiche, a Roma come nel territorio nazionale, al numero delle produzioni, alla molteplicità dei linguaggi e delle sperimentazioni, per confermare che l’Italia è un vero e proprio laboratorio della scena e del pensiero contemporaneo. Le difficoltà sono strutturali e culturali: mancanza o uso poco dinamico degli spazi, spreco e limitatezza di risorse, indisponibilità alle interconnessioni in ambiti limitrofi. Ripartire dalla cultura, in questo scenario, non è possibile, è necessario. Si comincia a parlare di industria leggera che può sostentare e far crescere un intero paese.

F.P.: Quali sono i progetti futuri di Teatri di Vetro? In quale direzione vede possibile la futura ricerca artistico-teatrale?

R.N.: Ho in mente una parola quando penso a TDV, nel passato come per il futuro: conoscenza. Credo che in sintesi il festival voglia essere questo: conoscenza degli artisti e delle loro opere per una direzione artistica che li guarda, cerca di capire e compone un affresco, diverso ogni anno nei colori e nei contenuti. Conoscenza di una scena che muove un pensiero per un pubblico, il più possibile ampio e trasversale, a volte anche popolare se penso alla sezione urbana che si svolge nei cortili di Garbatella. Conoscenza degli artisti per altri artisti, uno sguardo incrociato che può diventare rispetto, stima, abbattimento del pregiudizio. Conoscenza per le Istituzioni, locali e nazionali, di una scena professionale e presa di coscienza della disattenzione in cui è stata collocata un’intera generazione, forse due, di figli.

F.P: Come si delinea, a suo avviso, l’attuale rapporto tra il teatro e la critica? Pensieri di Cartapesta fa di un nuovo tipo di critica la propria cifra; una critica costruttiva e propositiva che assuma il punto di vista degli addetti ai lavori e che guardi agli eventi da recensire con l’obiettivo di scrivere per qualcosa e non solo di qualcosa. A suo avviso è una scelta editoriale condivisibile? Quali suggerimenti o richieste rivolgerebbe a chi oggi fa critica?

R.N.: Ogni potere per essere buono o sopportabile, chiede di essere disattivato. Lo penso per la direzione artistica e lo penso anche per la critica. Se la critica ha come obiettivo l’affermazione di sé, è una cattiva critica. Non serve a nessuno e, alla lunga, neanche a se stessa. Se la critica è l’analisi conoscitiva restituita da intellettuali, esperti, appassionati attenti e rispettosi, ad un pubblico che trae, dall’analisi, nuovi spunti, domande e desideri di approfondire e vedere, allora credo che sia qualcosa di cui c’è grandissimo bisogno e che ora vive un grande vuoto identitario.

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Webmaster - Redattore Cinema

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