Tony Saccucci insegna filosofia da quasi tre lustri, ma insiste nel cercare funghi da più di trent’anni.
Prima di cimentarsi nella scrittura ha lavorato nel mondo dell’editoria. Continua ad occuparsi di sviluppo sostenibile, per rispetto della terra che produce i suoi funghi.
Ha scritto con Carmelo Chiaramonte il libro L’estetica del fungo. E a marzo uscirà il suo primo romanzo.
Ludovica Marinucci: Qual è stata la tua formazione e di cosa ti occupi?
Tony Saccucci: Ho studiato Filosofia. Ma quando ho letto Marc Bloch sono passato alla Storia. Alla fine, inevitabilmente, ho fatto il mio apprendistato a cavallo tra le due discipline con Nicolao Merker.
Un grande maestro, che mi ha insegnato che la forma non può non essere contenuto. Voglio dire, se rispondessi a queste domande con errori di ortografia per quale motivo uno dovrebbe andare avanti a scoprire il contenuto delle mie parole?
In tutti i casi, sarebbe disdicevole che un docente facesse errori, per quanto personalmente sarei indulgente. Per dire che in questo momento insegno Storia e Filosofia in un liceo classico di Roma.
L. M.: Da cosa nasce il binomio funghi-filosofia?
T. S.: Semplice: vado a cercare funghi da quando ho cinque anni e mi interesso di filosofia da quando ne ho quattordici. Visti i nove anni di esperienza che separano l’inizio delle due attività, dovrei essere meno peggio come cercatore di funghi che come cercatore di verità…
Credo che nell’atto della ricerca del porcino si nasconda un gesto più ancestrale… ma questa storia l’ho già raccontata nel capitolo Funghi e metafisica. Semmai, in questa sede, colgo l’occasione per dire una cosa che farà sorridere qualcuno: l’immagine del filosofo immerso nella natura andrebbe un po’ recuperata. Magari per ricominciare a battere la strada che dovrebbe condurre alla saggezza.
L. M.: Perché la scelta di scrivere un libro a due mani con un cuoco?
T. S.: Carmelo Chiaramonte non è un cuoco. È un cuciniere che ha un rapporto fisico con gli alimenti che incontra durante le sue peregrinazioni. Li tocca, li guarda, li annusa. Poi li mette insieme. Il risultato è un elemento nuovo, una sorta di omologhìa dei sapori. Solo Chiaramonte avrebbe potuto continuare in cucina il percorso che avevo iniziato nel bosco.
Dietro la scelta del Cuciniere Errante c’è una ragione filosofica, se mi si lascia passare l’aggettivo che tra i fornelli diventa piuttosto impegnativo.
L. M.: Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
T. S.: Ho chiuso un romanzo e proprio in questi giorni sto concludendo l’accordo con l’editore. Credo che nei prossimi mesi seguirò l’editing e la promozione del libro. Almeno spero.