Intervista ad Alessandro Pieravanti (Il Muro del Canto)

0

Info:

Sito ufficiale del Muro del Canto

Sito web Circolo degli Artisti

Leggi il Live Report di PdC sul loro ultimo concerto

 Ascolta 500 del Muro del Canto

Giorgio Dragoni – Il Muro del Canto è un gruppo romano che  suona musica popolare romana. Come vi rapportate con il pubblico di altre zone d’Italia? Si crea la stessa empatia tra pubblico e band?

Alessandro Pieravanti – Devo dire che tutti gli esperimenti che abbiamo fatto fuori ci hanno lasciato stupiti in positivo, anche in altre zone abbiamo notato proprio l’empatia di cui parli. Un po’ perché il dialetto romano è comprensibile, non ci sono parole difficili. La televisione e il cinema hanno aiutato in questo, hanno fatto sì che il dialetto romano sia abbastanza universale. Nel momento in cui ogni persona può comprendere la storia in una certa canzone il coinvolgimento è naturale, esattamente come avviene per il pubblico romano. In realtà anche durante i nostri concerti a Roma si vedono molte persone originarie di altre zone d’Italia. Capita spesso anche qui di avere un confronto con studenti fuorisede, gente che lavora a Roma, persone appassionate che tornano a vederci e che non vedono la  propria provenienza come un ostacolo per entrare in empatia con noi.

G.D. – In un’intervista fatta per presentare il vostro primo album hai affermato che avete dovuto scartare diversi pezzi per abbondanza di materiale. Con quale criterio avete effettuato questa scelta?

A. P. – Il criterio è stato prettamente cronologico, abbiamo inserito nel primo disco le prime 16 canzoni scritte e arrangiate dal Muro del Canto, tutte le altre, che già proponevamo live e che proponiamo attualmente, faranno parte del nuovo disco. Ogni volta che chiudiamo un pezzo e lo proponiamo live, vuol dire che per noi quel pezzo merita di essere inciso su disco.

G. D. – La serata di oggi è dedicata alla poetica di Pasolini, un grande intellettuale del XX secolo. Le vostre canzoni esprimono molto bene le atmosfere cupe delle sue opere. Secondo te è possibile andare ancora più indietro nel tempo e trovare nei vostri pezzi un accenno al pessimismo eroico di natura leopardiana, inteso come il bisogno di solidarietà reciproca tra gli uomini per combattere il dolore della vita?

A. P. – Il link con Pasolini legato alle atmosfere è assolutamente l’elemento che ci unisce a questo poeta. Ci piacciono le atmosfere dei suoi film, le cose che racconta, la visione che ha della vita di borgata, una serie di elementi in cui noi ci troviamo a nostro agio. Per quanto riguarda Leopardi, è la prima volta che sinceramente riflettiamo su una cosa del genere, però trovo molto interessante la definizione di pessimismo eroico. Quando dobbiamo descrivere lo spirito delle nostre canzoni, noi cerchiamo di incarnare – ma ci viene naturale – lo spirito del romano del popolo che cerca di alzare la testa alle avversità, ad esempio nei confronti del Vaticano, che è sempre stata una presenza molto invasiva nella città di Roma. Un atteggiamento del quale 50 anni fa erano responsabili la guerra, la povertà, e del quale oggi sono responsabili la cassa integrazione, la crisi economica e tutta una serie di elementi che porta però  il romano ad avere quello spirito un po’ cinico, un po’ scanzonato, che gli permette di trovare il sorriso nella difficoltà. Forse quel senso di pessimismo eroico può avere un legame con quello che ti sto dicendo e sicuramente sarà fonte di spunto per noi. In ultima analisi direi che si può vedere questo concetto, ma come frutto di un ragionamento inconscio. È difficile nella musica di oggi arrivare così indietro nei ragionamenti, però ogni persona è il risultato di tante esperienze della propria vita, cose che ha studiato, che ha fatto, che ha letto. Inoltre non è detto che quando produci qualcosa ti rendi conto subito, in maniera conscia, degli elementi che compongono questa tua produzione, magari lo scopri dopo, perché sei stato influenzato da qualcosa e lo hai messo in una parte della memoria a cui non sei direttamente collegato, ma che poi ti influenza, e questo sicuramente è un elemento che fa parte di quel bagaglio nascosto.

G. D. – Qual è il tuo parere riguardo al modo di fare critica moderno? Si dà sufficiente spazio secondo te ad artisti ad artisti di nicchia ed emergenti?

A. P. – Io ho sempre visto il mondo della musica dare un grosso peso alla critica. Ci sono delle situazioni in cui tu esisti se delle persone parlano e scrivono di te, però questo modo di pensare è un tuo limite. Io invece la prendo al pari del parere di un amico che viene al concerto e ti dà un parere personale. Sicuramente una persona di esperienza sa fare determinati collegamenti, più arguti di una persona che non fa il critico di mestiere, quindi certamente la critica ha un suo valore, ed è anche interessante perché a volte fa riflettere su cose a cui magari tu non pensi. Dall’altra parte trovo che il più grande limite della critica moderna sia la necessità di voler accostare sempre una proposta a qualcosa del passato. Certe volte è giusto, perché ci sono delle proposte troppo derivative, altre volte è un voler per forza trovare una somiglianza con altro. Il collegamento con Leopardi è senza dubbio più raffinato, ma quando devono paragonarti a una serie di cantanti, cantautori, gruppi rock, e devono per forza incasellarti in qualche stereotipo, si tratta di un modo di fare critica meno intelligente, meno utile.

Print Friendly, PDF & Email
condividi:
   Send article as PDF   

Autore

Redazione

Lascia un Commento

Continuando ad utilizzare il sito, l'utente accetta l'uso di cookie. Più info

Le impostazioni dei cookie su questo sito sono impostati su "consenti cookies" per offrirti la migliore esperienza possibile di navigazione. Se si continua a utilizzare questo sito web senza cambiare le impostazioni dei cookie o si fa clic su "Accetto" di seguito, allora si acconsente a questo.

Chiudi