Antonio Bini è nato il 25 maggio 1957 in provincia di Lucca, terzo di cinque fratelli. Dopo aver conseguito la Licenza Media, ha scelto di andare a lavorare per sostenere l’economia familiare, entrando così precocemente e definitivamente nella vita adulta. Tranquillo, inquieto, ironico, beffardo, irriducibile sognatore, ama il lavoro e non disdegna di svolgere qualunque genere di attività, senza mai temere gli immancabili insuccessi.
Crede nell’amicizia e nell’amore, pur temendo la propria e l’altrui infedeltà. Spera in un mondo migliore, osservando con ironia gli inutili sforzi dell’incapacità umana. Per il piacere dello studio non ha mai abbandonato libri e quaderni, mantenendo da autodidatta il gusto per la ricerca e l’approfondimento. E’ sposato, ha due figli, e varie esperienze educative, soprattutto in campo ecclesiale. Di recente ha pubblicato il suo primo romanzo dal titolo Acquacheta (ed. Giovane Holden, 2012).
Lorenzo Simonini: Cosa ti ha spinto a dedicarti alla scrittura?
Antonio Bini:Ho sempre avuto questa passione per lo scrivere, nel fissare le esperienze che facevo nella vita, anche perché sono sempre stato curioso di scoprire com’era la vita intorno a me, sin da ragazzo. Ho sempre avuto, dunque, questa voglia di appuntare e di fissare quelle che erano le mie esperienze. A un certo punto della mia vita, ormai prossimo alla pensione, ho sentito l’esigenza di riscoprire quello che era stato il mio percorso e quindi di ritrovare le persone che avevo incontrato, i successi e i fallimenti che hanno poi determinato il mio carattere.
L.S.: Parliamo della tua prima pubblicazione, Acquacheta: di cosa parla e quali significati nascondono il titolo e il libro?
A.B.: Acquacheta rappresenta un po’ il mio carattere: è come un piccolo torrente che scende verso valle, raccogliendo qua e là l’acqua, il quale tuttavia può diventare impetuoso quando è troppo carico. Il titolo proviene da un soprannome che mi fu attribuito da giovane perché, all’apparenza, ero tranquillo, ma poi, in certi momenti, mi scatenavo. Il romanzo, quindi, racconta le avventure di questo ragazzo e della sua voglia di scoprire, di conoscere e soprattutto di misurarsi con le esperienze della vita e con il mondo degli adulti, il tutto attraverso una forma di gioco che, qualche volta, costa fatica. Questo elemento conduce il protagonista attraverso varie vicissitudini, traversie e, in qualche caso, alla trasgressione.
L.S.: La nostra rivista lavora principalmente sfruttando le potenzialità di Internet. Qual è il tuo pensiero in merito al rapporto tra Internet e la cultura?
A.B.: Io mi sono avvicinato al mondo di Internet solamente da adulto e ho avuto modo di notare che si caratterizza per un grandissimo potenziale, ma al di là della velocità di questo mezzo, a mio giudizio è da sottolineare di più la sua ampiezza, la sua portata. Noi abbiamo a disposizione una gigantesca biblioteca e siamo in grado di spaziare dall’Oriente all’Occidente oppure dalla Preistoria alle nanotecnologie, il tutto tramite un semplice click, in un attimo. Inoltre questa biblioteca, oltre a essere sempre operativa a tutte le ore del dì e della notte, è anche di facile consultazione. Secondo me, però, pone un limite che va superato, ossia è necessario trovare, da parte nostra, una capacità di interpretare e di comprendere fino in fondo i dati. È un po’ come se aprissimo l’archivio segreto di una persona, tramite il quale scopriamo tutto ciò che ha fatto, ma questo non è sufficiente per conoscerla davvero. L’archivio ci permette di sapere su di lui tante cose, ma per poter dire di conoscere veramente una persona bisogna farne esperienza. Internet, comunque, rimane un mezzo a nostra disposizione che va sfruttato e, oltretutto, ritengo che possa essere d’aiuto per uno sviluppo sociale.
L.S.: Che consigli ti senti di dare ai giovani affinché possano lavorare nel mondo della cultura?
A.B.: Tutto ciò che è cultura, secondo me, può essere declinato come un innamoramento, quindi come qualcosa di profondo e che libera l’anima. Al tempo stesso, però, quando si parla di capolavoro di fronte a una grande opera, noi intendiamo un qualcosa di eccezionale e di strabiliante. Il vero significato della parola, in realtà, è lavoro portato a termine. A mio giudizio, quindi, mi sento di dire ai giovani che hanno questa volontà di riscoprire la passione del fare, del progettare, dell’inventare, e naturalmente di portare a compimento queste iniziative. Mi auguro, quindi, che i giovani non si facciano influenzare da una tendenza, purtroppo piuttosto diffusa oggi, di vedere il futuro grigio, deprimente e senza speranza. Io credo che ci sia bisogno di modellare non solo la realtà, e dunque nelle opere in sé, ma soprattutto di dar vita a nuovi linguaggi, e i giovani hanno questo potenziale. La comunicazione dovrebbe, a mio parere, governare sempre più il mondo, dato che essa è sempre stata alla base della vita sociale e umana e, visto che c’è stata un’evoluzione nel corso della storia, ritengo che ancora oggi ci sia bisogno di inventare nuovi linguaggi. Io mi auguro che i giovani abbiano questa voglia, dato che questi linguaggi possono essere trasmessi attraverso tutte le arti possibili.