In occasione del festival Teatri di Vetro 2015 – TdV9 – che si svolgerà a Roma dall’1 al 15 novembre 2015 occupando spazi quali il Macro di Testaccio, l’Opificio Romaeuropa, Carrozzerie N.O.T., il teatro Vascello, la redazione di Nucleo Artzine ha intervistato gli artisti ospiti di questa nuova edizione della rassegna di musica/danza/teatro che è alla sua nona edizione. Il titolo scelto dallo staff di TdV9 è “La comunità che viene”, che pone l’accento sul bisogno concreto di creare una comunità artistica a cui potersi rivolgere, che possa costruire continuamente spazi di creazione, ridefinendo il proprio terreno di lavoro e la propria pratica.
La prima giornata del festival vedrà l’alternarsi, presso gli spazi del Macro, di artisti che intraprenderanno un percorso performativo di tipo sonoro e musicale. Lo spazio per il suono e il suo tempo renderanno l’atmosfera del museo capitolino onirica e pregna d’echi, voci, ripetizioni. La redazione ha deciso di far parlare di sé gli artisti coinvolti, sottoponendogli tre domande sulla poetica, l’esperienza e il rapporto con il topic del festival.
Andiamo a conoscere Simone Pappalardo e Gianni Trovalusci, ideatori della performance Rizoma/Alcina – concerto per sculture risonanti e voci di social network.
1- Portare la propria musica e la propria ricerca sonora all’interno di un contesto spaziale come quello del Macro non è una cosa che capita tutti i giorni. Come si inserirà il tuo lavoro in questo contesto inusuale per un compositore?
A dire il vero ci è già capitato altre volte di portare performance in questo incredibile spazio. Devo dire che ogni spazio rivela tutta la sua complessità. Il nostro lavoro si basa molto sull’improvvisazione e l’ambiente in cui ci troviamo diventa parte integrante della “partitura” da eseguire e creare. Spazi aperti, non concepiti esclusivamente per la musica, dettano regole fluide, costantemente in movimento, a cui rispondere restando in ascolto. Regole che permeano e modificano dall’interno i timbri e la sintassi del discorso sonoro che si crea nell’atto performativo. Il nostro lavoro compositivo si completa con lo spazio che lo ospita. Si pensa generalmente che la musica sia arte del tempo, a ben vedere però qualunque suono è concepito per uno spazio oppure porta, nei suoi contenuti strutturali, la memoria dello spazio che lo ha creato. Il lavoro compositivo si basa molto su questo, ragionare sullo spazio metaforico o reale che il suono porta con se. In particolare Alcina è incentrata sulla declinazione del concetto di spazio. In questa performance portiamo spazi lontani, anche spazi interiori, fissati sul supporto digitale nella forma di molte interviste fatte ad abitanti della zona dell’Aquila sul tema della luce, all’interno dello stesso ambiente performativo. E l’ambiente performativo, il Macro, arricchisce il discorso sonoro e lo espande arricchendolo delle risonanze e degli oggetti sonori che caratterizzano questo ambiente.
2- Di fronte a cosa si troverà il pubblico che prenderà parte all’evento?
Alcune sculture sonore, oggetti che mettono in relazione forte lo spazio con il suono, costituiscono un giardino immaginario, fatto di piante parlanti. Le piante raccontano la luce. I due performer si muovono in questo giardino. Animano le strutture sonore in interazione con i suoni di flauti e diversi aerofoni auto-costruiti, creando una serie complessa di relazioni e segni, e portano l’ascoltatore a varcare simbolicamente le ‘Colonne d’Ercole’ della rigida divisione tra tipologie musicali e artistiche, che vogliono la performance separata dal concerto, la Sound Art in contrasto con l’uso di strumenti della tradizione musicale colta. Alcina così diviene nello stesso momento il punto di arrivo e di partenza di un viaggio profondo e unificante…
3- La campagna di promozione tramite social network di Teatri di Vetro 9 si è basata ironicamente sull’assenza all’interno del Festival di personaggi come star o intellettuali/artisti, magari già morti. È questo un evidente riferimento al passato e all’oggi. Come si rapporta invece la tua/vostra presenza al Festival rispetto al suo titolo – «la comunità che viene» –, che ci sbilancia fortemente verso il futuro? Verso che tipo di possibile o impossibile – seguendo l’hashtag #lacomunitàchenonviene – comunità ci stiamo proiettando?
Il rimbalzare veloce, a volte segmentato, a volte univoco, dei segni e dei codici caratterizza la nostra epoca mutevole, che si contraddice e si conferma spesso senza soluzione di continuità. L’artista di oggi è immerso in questo universo visionario. La fatica e il piacere sono nell’operare la propria scelta espressiva e di linguaggio, reinventando di nuovo e di nuovo ancora un paradigma credibile, per sé e per gli altri. Una cosa è certa: l’Arte ci salva e ci salverà.
Dove? Museo Macro, via Nizza 138, presso spazio area.
Quando? 1 novembre 2015, alle 15:00, live performance alle 17:00.
Perché? Perché la comunità rischia di essere un frastuono di voci sole e di questo rischio bisogna parlarne. Ed ascoltare.
Per ulteriori info: live Pappalardo/Trovalusci – profilo vimeo Simone Pappalardo – intervista Nucleo Simone Pappalardo – intervista Gianni Trovalusci