Si rimane sempre tendenzialmente interdetti davanti ad ogni centiloquio. L’unità di senso che si cerca di proiettare come esigenza propria del lettore cade nel vuoto, ultima violenza di un autore che taglia le righe, premette parentesi, accorpa il testo sulla destra di un margine inconsueto… È proprio vero: L’unico scrittore buono è quello morto.
La nuova fatica -si dice così, no?- di Marco Rossari è un divertente catalogo di piccole abiezioni e grandi sconfitte, intervallate dalle miserie quotidiane che la naturale trascuratezza dell’essere umano ci impone a cadenza regolare. E così troviamo Tolstoj alle prese con un irritante, ma non poi così improbabile, conduttore radiofonico, e senza soluzione di continuità ora siamo nel bel mezzo di uno sfortunato incontro erotico -l’unico possibile?- tra uno scrittore ed una sua lettrice.
Assai interessante è la struttura del testo: fulminei aforismi intervallano sezioni più lunghe -sempre comunque poche pagine- in un rincorrersi di riflessione e narrazione estremamente peculiare. Il medesimo vagabondare si apprezza nel repentino variare di stili e linguaggi.
In effetti, sotto l’ironico velo del divertissement, ben cupo è il ritratto offerto del mondo letterario, attraversato da personali illusioni infrante e mediocrità generalizzata. Le grandi figure delle Lettere passate, richiamate in vita, rimangono invischiate in questo mare di fango indifferenziato, faticano a trovare la propria voce, ad emergere dal grande chiasso. Sia chiaro, quello che viene fuori è ben più che l’ormai consueta demitologizzazione del passato: è la lucida messa a fuoco di un panorama desolante, stretto tra il non potere ed il non volere.
D’altra parte, «Io non pubblico, non scrivo e nemmeno vivo. Sto bene, infatti».
L’UNICO SCRITTORE BUONO E’ QUELLO MORTO
di Marco Rossari, edizioni e/o, Roma 2012.
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