Musicisti: Kevin Hays – pianoforte; Lionel Loueke – chitarra e voce; Reid Anderson – electronics; Jeff Ballard – batteria Dove: Sala Petrassi, Auditorium Parco della Musica, Roma Quando: 18 Marzo 2015 Foto a cura di Giacomo Citro
Si chiama Fairgrounds il nuovo progetto del batterista Jeff Ballard presentato lo scorso 18 marzo all’Auditorium Parco della Musica . Un ensamble musicale atipico che prevede, oltre al suono della della batteria di Ballard, gli interventi elettronici di Reid Anderson, conosciuto ai più per essere il bassista dei The Bad Plus, alla chitarra e voce Lionel Loueke e al piano e alla voce Kevin Hays. Una formazione senza basso presuppone che tale mancanza sia colmata dall’elettronica e invece sin dal primo pezzo si intuisce che non sarà così.
Ad aprire la serata il suono di un carillon e le spazzole del leader che evocano subito quel luna park a cui il nome del progetto rimanda. Atmosfere minimali, improvvisazione ed effetti di vario genere continuano fino a un crescendo in cui la melodia si fa più presente anche grazie al piano e alla chitarra. L’elettronica appare da subito un po’ slegata dall’andamento musicale del trio. Ma è proprio l’elettronica che poi fa nascere l’improvvisazione che da l’avvio al secondo pezzo della serata, che stenta a decollare fino allo splendido solo di Loueke. Il brano è ritmicamente vicino a un samba. La differenza di registro tra un brano e l’altro sarà un leitmotiv della serata. È così che si avvicendano composizioni dal ritmo incalzante e ostinato, spunti rock/prog , un accenno di free jazz, fino ad arrivare a scorci blues e pezzi cantati. Molto presente è stata l’improvvisazione, mai fine a se stessa, ma resa encomiabile dal forte interplay e dalle cristalline capacità tecniche dei musicisti. L’unica ballad della serata è affidata al pianista Hays e alla sua splendida voce che intona Waterfalls un brano di Paul MacCartney.
E’ molto difficile definire un progetto del genere, la cui identità è molto poco strutturata : al di là dell’indiscussa bravura dei componenti, ci sono delle lacune derivanti dalla troppa eterogeneità. L’elettronica, che avrebbe dovuto dare un sapore più sperimentale al progetto, non riusciva a legare con i brani e le improvvisazioni del trio, anche per colpa di una gamma abbastanza limitata di effetti vecchio stile. Si può affermare, credo con quasi assoluta certezza, che Reid Anderson lo si sarebbe apprezzato di più al suo strumento, il contrabbasso. Mancava in ogni caso un filo conduttore o forse era proprio la sfida del batterista americano: cercare di attrarre il pubblico grazie ad un andamento non definito, proprio come le giostre al luna park.